La storia di un Paese meraviglioso
Alcune considerazioni iniziali
Per la posizione geografica e i suoi idiomi, l’Afghanistan fa da ponte tra le grandi civiltà della Persia e quelle del sub-continente indiano: è una sorta di oriente iraniano largamente volto verso l’India.
Circondato da Iran, Pakistan, le ex-repubbliche musulmane dell’Unione Sovietica e la Cina, è privo di accesso al mare. Isolamento e povertà hanno fatto sì che il Paese vivesse a lungo conservando il suo aspetto da Medioevo islamico.
Aspre montagne dalle cifre rocciose e vallate di sabbia scoraggiavano l’uso della ruota. A regnare era il cammello, capace di portare grandi pesi e di passare quasi ovunque e il cavallo. Tra le genti della montagna ove non arriva il cammello ci si serve invece di quest’ultimo, dell’asino e del bue dal passo sicuro.

Non è un caso che fino alla fine del XIX secolo, il ritmo dell’Asia musulmana era scandito tra il galoppo sfrenato dei cavalli dei conquistatori ed il passo sonnolento delle carovane dei mercanti.
Vi si professa la religione del Profeta, con la convinzione di molti dei suoi abitanti che è solo in Afghanistan che si trova oggi il vero Islam: non a caso fino a tempi recenti veniva considerato la cittadella dell’Islam (Islam khalaa).
Ad un camionista che aveva deciso di fare un viaggio lungo la strada dell’Occidente per portare il suo carico in Germania, fu chiesto cosa avesse visto lungo il tragitto. La risposta giunse immediata: “A partire dalla Turchia non vi sono che infedeli”.
Ancora oggi al suo interno prevale una struttura tribale e di clan incentrata intorno ai quattro principali gruppi etnici che ne costituiscono la popolazione: la gente più importante è quella dei Pashtoun, dai tratti marcati, indoeuropei di origine e in maggioranza agricoltori sedentari. Una strana leggenda li farebbe discendere dalle tribù perdute di Israele. Sono organizzati in diverse grandi tribù, ognuna caratterizzata dai propri clan che si rifanno ad un antenato comune. Parlano il pashto, lingua vicina al persiano e all’hindi, con non poche parole di origine araba.
Oggi, alcuni milioni di loro vivono in Pakistan, territorio ceduto agli Inglesi nel corso dell’Ottocento. Per anni il governo afghano ha rivendicato le loro terre, ma il governo pakistano non ne vuole sapere.
Vengono poi i Tagiki, di stirpe persiana e provenienti dell’Asia centrale. Hanno tratti fini e non di rado gli occhi chiari. Sono considerati ospitali. Vivono generalmente di agricoltura o sono montanari dalle pratiche semi-nomadi. Dai tempi del Medioevo sono stati successivamente cacciati dalle loro terre dai Turchi, dalle orde mongole e dai conquistatori Pashtoun, conservando alcune vallate dall’aspetto ingrato ed angoli ancestrali del Panshir e del Hari-Roud. Di religione sciita, parlano un persiano arcaico che unifica il Paese e ne formano l’élite intellettuale.
Considerazioni iniziali
Di origine mongola, gli Hazara, dopo aver spodestato i Tagiki dalla regione centrale dell’Hindu-Kush, hanno condotto in gran parte un’esistenza da contadini sedentari. Alle loro terre è stato dato il nome di Hazaradjat. Di credo sciita, hanno presto
adottato la lingua persiana e commemorano ogni anno il martirio di Alì, genero del profeta. Sono oggi l’etnia maggiormente disprezzata in Afghanistan.
I Turco-tatari. Provenienti dall’Asia centrale, Uzbeki e Turcomanni conservano ancora alcuni tratti somatici del ramo mongolo ancestrale. Risiedono in gran parte nelle oasi della provincia del Nord. I primi sono sedentari da secoli, i secondi erano una volta nomadi e compivano razzie a cavallo. Le loro donne sono celebri per l’abilità nel tessere i tappeti.
Nelle vallate afghane gli eventi del passato hanno lasciato anche numerose minoranze: Kirghizi dell’alto Pamir; Sikh, musulmani dalla lunga barba e portatori di turbante; Ebrei, considerati abili mercanti in gioielli; tribù arabe nelle vicinanze di Balkh; Djat indiani, discendenti lontani del popolo gitano; Nouristani, di stirpe montanara, che alcuni dicono discendere dalle truppe di Alessandro. Sono stati convertiti all’Islam verso la fine del XIX secolo.
Ognuno di questi ceppi descritti, oltre che un diverso aspetto fisico, ha una lingua propria e si caratterizza per le sue abitudini particolari e il modo di vestire. Ulteriori divisioni sono quelle che marcano i contadini dagli abitanti delle città e quelle tra proprietari terrieri e mezzadri.
Ancora oggi si può dire che per molti afghani la Storia non esiste. Vi è solo il presente, la cui importanza è scarsa, breve alito in un universo religioso che non è che il conformarsi alla legge di Dio: sperare e pregare.
Ieri si sono succeduti 70.000 profeti, il cui compito era quello di annunciare il messaggio divino. Il domani non è che l’apparizione dell’arcangelo Israfil che al suono della tromba annuncerà il Giorno del giudizio. Le nozioni cronologiche sono ancora più vaghe tra gli analfabeti. Si racconta che un giorno un contadino si era recato ad Herat per vendere un fucile: “Bel pezzo! Antico. 5.000 anni!”.
In questo contesto, non è del tutto casuale che rivolgendosi ai comandanti occidentali ormai da anni impegnati a combattere nel loro Paese e stufi di rimanervi, i Talebani dicano loro: “Voi avete gli orologi, noi il tempo”.
Con la sua legge, i suoi rituali ed i suoi obblighi, l’Islam offre qualche sollievo ad una popolazione la cui esistenza sarebbe altrimenti fin troppo brutale.