Alcune considerazioni nel mare d’Azov

Continuano le tensioni nel Mare d’Azov: il caso del sequestro delle navi militari ucraine

Nel corso della disputa per l’accesso al Mare d’Azov, lo scorso 25 Novembre Mosca attacca due pattugliatori armati ed un rimorchiatore della marina militare ucraina che tentavano di passare lo stretto di Kerch.

Vengono sparati alcuni colpi, tra gli ucraini ci sono sei feriti e gli equipaggi delle navi sono fatti prigionieri. In quanto alle navi, finiscono anche loro in mano russa.

L’episodio avviene in acque internazionali. Mosca infrange inoltre un trattato firmato nel 2003 dallo stesso Putin nel corso della sua prima presidenza con il suo omologo Ucraino Leonid Kuchma.

 

Il testo garantisce il reciproco libero accesso per le due nazioni nel Mare d’Azov e nello Stretto di Kerch e la gestione congiunta dell’area.

La cattura delle navi e dei loro equipaggi marca per la prima volta come le Forze Armate di Mosca siano state impiegate apertamente contro militari ucraini. In precedenza le altre incursioni russe in territorio ucraino erano sempre state effettuate da uomini in uniforme senza contrassegni, meglio noti come “uomini verdi” oppure da presunti “volontari”.

Mentre Putin accusa Poroshenko di provocazione e attribuisce la responsabilità dell’accaduto alle navi ucraine, Kiev chiede alla Nato di inviare delle navi nelle acque contese per impedire ai russi di imporre un blocco navale a danno delle esportazioni del paese. Poco dopo il Presidente Ucraino ha dichiarato la legge marziale da applicarsi per 30 giorni nella parte orientale del Paese. Mosca lo ha accusato di sfruttare l’episodio per ottenere l’appoggio dei nazionalisti in vista delle prossime elezioni.

È difficile non sospettare un tentativo russo di voler privatizzare il Mare di Azov allo scopo di far chiudere i porti di Mariupol e Berdyansk e causare così ingenti danni all’economia ucraina. Nel mese di Maggio sullo stretto è stato inaugurato un ponte che collega la Russia alla Crimea. La sua altezza impedisce il transito alle navi mercantili in entrata e in uscita. Questo ha di fatto costituito in blocco navale e ha impoverito i due centri portuali.

Incerti sulle reazioni di Mosca, gli armatori hanno cessato di inviare le loro navi a Mariupol, cosa che con il tempo finirà con lo svuotare le attività del porto. Le restrizioni al traffico imposte da Mosca rendono più cari i costi assicurativi e costringono gli esportatori della regione a volgersi verso altri sbocchi, come i trasporti ferroviari.

L’attività di Mariupol è in calo dal 2014, anno dell’estromissione di Yanukovic.

Anteriormente a quella data vi transitavano 15 milioni di tonnellate di merci l’anno, soprattutto carbone acciaio e metalli. Vi erano stati allora 1417 attracchi: l’anno scorso 532. Dal momento dell’incidente navale con la flotta russa, i traffici si sono praticamente fermati. La città, la più importate sul Mare di Azov, rischia lo strangolamento.

Nel 2015, dopo aver occupato il vicino centro di Donetsk dichiaratosi Repubblica Popolare Indipendente, soldati russi descritti dal Cremlino come “in vacanza” si sono inoltrati fino ai sobborghi del porto

Per un breve periodo Mariupol è così finita nelle mani dei separatisti filo-russi. È stata poco dopo ripresa dall’esercito di Kiev. Il porto si trova oggi in uno di quei dieci distretti nei quali, in risposta allo scontro navale, Poroshenko ha decretato la legge marziale.

Malgrado gli articoli infuocati pubblicati dalla stampa di Mosca, a seguito di questo decreto nella città di Mariupol sono comparsi solo nove carri armati ucraini. I bambini non stanno scavando trincee e le acque del porto non sono state infettate con il colera. Non si è avuto nessun ordine di mobilitazione.

La locale élite economica e politica può dirsi generalmente di vedute filo-russe, ma vuole evitare a tutti i costi il clima di instabilità creata da Mosca. Non a caso gli uffici della squadra di calcio Shaktar, di proprietà dell’oligarca Rinat Ahmetov sono stati portati a Mariupol.

Kiev difficilmente è in grado di resistere militarmente alla Russia. Le servono alleanze solide e Mariupol non è che una pedina di una partita più vasta riguardante la Russia e gli Stati Uniti.

Il Cancelliere Merkel ha fatto sapere che avrebbe chiesto il rilascio dei marinai e insistito per una libera navigazione nel Mare di Azov. Ha dato la colpa dell’accaduto alle truppe di Mosca, aggiungendo poi che alla crisi non vi può essere una soluzione militare, ma solo politica.

L’episodio ha fatto salire le tensioni internazionali e costretto Trump a cancellare il previsto faccia a faccia con Putin che si sarebbe tenuto durante il G20 di Buenos Aires. Il Presidente Americano, malgrado tutte le sanzioni imposte a Mosca, continuava a puntare sull’omologo russo.

L’accaduto lo ha infastidito in quanto è costretto a tener contro dell’opinione pubblica americana e delle vedute dei suoi colleghi di partito al Congresso. Ha così comunicato la rinuncia mentre era nel suo aereo in viaggio verso Buenos Aires.

Ad incrinare ulteriormente queste relazioni vi sono state poi le confessioni dell’avvocato di Trump, Michael Cohen, sui rapporti intrattenuti dal Presidente con i russi. Sempre aperta rimane poi l’inchiesta del Procuratore Speciale Mueller riguardo le influenze russe in campagna elettorale.

Il Presidente Trump, che con Putin ha intensi rapporti, ha tutte le intenzioni di riprendere il dialogo. Ha fatto sapere che prima però è necessario un rilascio delle navi e degli equipaggi sequestrati. Il Presidente Russo ha risposto che il suo paese è un paese di leggi e che queste vanno rispettate.

L’anno si chiude con un appello da parte del Presidente Francese Macron e del Cancelliere Tedesco Merkel per un cessate il fuoco solido, completo e durevole nell’Est dell’Ucraina.

I motivi del sequestro: L’attacco alle navi di Kiev può attribuirsi a tre motivi: l’astio di Putin riguardo le giornate di Piazza Maidan, l’autocefalia della Chiesa Ucraina e la volontà del Presidente russo di rafforzare la propria mano in vista dell’incontro di Buenos Aires.

I tentativi del Cremlino di tenere sotto controllo l’Ucraina hanno portato ad una rivoluzione nel 2014 e ad un conflitto che ha già mietuto quasi 11.000 vittime. Ha poi causato una spaccatura all’interno del cristianesimo ortodosso le cui radici originano nel 1686, quando il Patriarcato di Kiev rimane subordinato a quello di Mosca e fu spinto ad abbandonare la sua appartenenza al Patriarcato di Costantinopoli.

La Maidan: Maidan è il nome di una piazza e di una rivolta. La Rivolta scoppia nel Novembre del 2013 e si conclude a Febbraio dell’anno successivo. Dai tempi della caduta del Muro di Berlino gli ucraini intendevano sfilarsi dall’orbita di Mosca ed avere relazioni più strette con l’Occidente.

Il 21 Novembre del 2013 il presidente filo-russo Yanukovich, nel tentativo di non portare il paese ad una rottura con Mosca, annuncia di ricusare il previsto accordo di associazione con l’Unione Europea. Per via dei debiti e della difficile situazione economica del paese Mosca in poche parole teneva l’Ucraina al guinzaglio.

A seguito di questo episodio, delusa e scontenta, inoltre, dall’inefficienza e dalle disfunzioni dello Stato la gente scende per strada e inizia a protestare. L’8 Dicembre un milione di persone si raduna in piazza Maidan per avere un paese indipendente, libero e privo di corruzione.

Chiedevano libertà, dignità, maggiore prosperità e una qualità di vita migliore. Dopo aver passato anni dietro la Cortina di Ferro vogliono vedere il loro paese ancorato all’Occidente.

Il Parlamento di Kiev, sentendo il terreno sfuggirgli sotto i piedi, vota una legge che impedisce le manifestazioni. Intorno alla metà di Febbraio dalla protesta si arriva a veri e propri scontri. La polizia riceve l’autorizzazione di sparare: sul selciato rimangono i corpi di un’ottantina di manifestanti. La rabbia della nazione e le polemiche sull’accaduto mettono Yanukovich con le spalle al muro. Approfittando del caos politico e delle difficoltà nelle quali era precipitato il paese nel Febbraio del 2014 si dà alla fuga per trovare dopo qualche tempo asilo in Russia.

Il corso della moneta precipita e questa perde metà del suo valore. Iniziano i problemi nell’oriente del paese con forte presenza di elementi russofoni.

Violando il memorandum di Budapest del 1994 Putin ordina nel frattempo l’occupazione e l’annessione surrettizia della Crimea, confermata poco dopo da un referendum passato con il 97,32% dei voti. Quando nelle regioni orientali i separatisti filo-russi dell’importante distretto minerario del Donbas proclamano l’indipendenza, il governo di Kiev è costretto a reagire. A dare manforte ai rivoltosi, appaiono presto dei cosiddetti volontari inviati da Mosca che fornisce anche armi e denaro.

Il 7 Giugno 2014 al governo arriva Petro Poroshenko. Pochi giorni dopo aver ottenuto la presidenza firma quell’accordo di Associazione con l’Unione Europea che era stato la causa della Miadan. Ribadisce anche la volontà di Kiev di entrare nella NATO. Farà dell’Esercito e della Chiesa i pilastri della sua forza.

L’autocefalia: Per Kiev non è solo un passo avanti nella sua politica filo-europea e di indipendenza nazionale, ma è anche l’intimo desiderio di molti ucraini di avere una Chiesa Ortodossa Autocefala e del tutto libera.

Il patriarcato di Mosca, dal canto suo, vorrebbe mantenere il controllo delle comunità ortodosse non solo in Russia, ma anche in tutti quei territori in precedenza appartenuti all’Unione Sovietica. Similarmente a Putin, anche la Chiesa Russa rifiuta di considerare l’Ucraina come un’entità separata.

Quando nel 2014 Putin si è annesso la Crimea, ha sottolineato come questa terra fosse spiritualmente inseparabile dalla Russia. Si tratta per il Presidente Russo di tutelare gli interessi dei credenti ortodossi. Verso metà Ottobre dell’anno scorso ha convocato un consiglio di sicurezza al fine di incrementare la sua influenza all’interno della famiglia ortodossa.

È così che una disputa canonica si è tradotta in un punto di scontro geopolitico in quanto per Kiev si tratta di un proseguimento di quella lotta per ottenere l’indipendenza da Mosca. Oltre 60 chiese individuali hanno chiesto di sottomettersi al Patriarcato di Kiev.

Il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo, Capo della Cristianità Ortodossa, ha riconosciuto l’autocefalia alla nuova della Chiesa Ortodossa dell’Ucraina che già dagli inizi degli anni ’90 si era distaccata dal patriarcato russo.

La Chiesa di Mosca ha detto che potrebbe rifiutarsi di riconoscere l’autorità di Bartolomeo, creando così un ulteriore scisma nel mondo ortodosso.

Non a caso, sia da parte del Cremlino che dalla Chiesa Ortodossa Russa, forti sono state le pressioni per dissuadere Costantinopoli a riconoscere a Kiev il Tomos. Questa campagna di pressioni è stata seguita da un intensa attività di hackeraggio per concludersi con una serie di vaghe minacce e un’accusa al Patriarca Bartolomeo di essere un agente segreto del Vaticano e degli Stati Uniti.

I suoi ranghi sono andati riempiendosi a seguito della mancata condanna da parte della Chiesa di Mosca degli scontri militari nell’oriente del paese che hanno causato oltre 11.000 morti.

L’attuale conflitto sul controllo della Chiesa Ucraina si sta svolgendo nell’ambito di un tentativo del Cremlino di riaffermare l’unità di una Russia nella quale circa il 20% della popolazione è di credo musulmano. Il numero dei fedeli ucraini corrisponde più o meno al 30% di tutti gli ortodossi che si trovano sotto il Patriarcato di Mosca.

Per il Patriarca Cirillo, il rischio è quello di perdere alcuni milioni di fedeli e molte proprietà ecclesiastiche. Non a caso alcuni religiosi leali alla chiesa russa si sono apertamente schierati con i separatisti filo-russi che si sono appropriati di pezzi di territorio nelle regioni orientali dell’Ucraina.

In questa faccenda le Chiese di Serbia, Antiochia e Polonia si sono schierate a favore di Mosca. Riflessi si sono avuti anche sulla Chiesa Greca. Inutile dire che la faccenda si tinge anche di sfumature geo-politiche.

Per gli ucraini l’indipendenza religiosa è vista come parte essenziale del conflitto con Mosca. Il Presidente Poroshenko l’ha messa sullo stesso livello del referendum per l’indipendenza dall’Unione Sovietica del 1991.

Per lui si tratterebbe di una chiesa senza Putin e libera dall’ingombrante peso di Mosca. Il Paese si troverà con un proprio patriarcato indipendente e buona parte del popolo ucraino non subirà più l’influenza religiosa russa.

Il Presidente Ucraino Poroshenko, insieme al Parlamento di Kiev e ai Capi della Chiesa, ha proposto al Patriarca Bartolomeo di concedere l’Autocefalia, che significa la richiesta di indipendenza per la chiesa ortodossa ucraina del patriarcato di Kiev, finora sotto la giurisdizione di quello di Mosca.

Per Putin la sovranità del Patriarcato di Mosca è importante in quanto significa non solo affermare il suo potere militare, ma anche quello morale e religioso. Si tratta di una continuità ideale con Vladimir il Grande, Principe di Kiev, convertitosi al cristianesimo nel X secolo. È celebrato a Mosca ove Putin, nel 2016, ha fatto erigere una gigantesca statua in suo onore. Vladimir è considerato uno dei fondatori dello stato russo.

Per gli Ucraini tutto ciò non farebbe parte della storia russa, si tratta di una riappropriazione del suo passato come prova di una loro identità nazionale separata.

Putin si è eretto a difensore della chiesa ortodossa russa. La sua intenzione era mantenere l’Ucraina sotto l’ala del suo patriarcato. Secondo il Ministro degli Esteri Lavrov, la richiesta di autocefalia è stata una provocazione.

Il Patriarca di Mosca Kirill è stretto amico di Putin: ha fatto si che il Sacro Sinodo rompesse con Costantinopoli. Anche il Metropolita Hilarion si è schierato contro Kiev accusando gli Stati Uniti di essere dietro alla manovra.

Il Presidente russo si era agganciato alla Chiesa di Mosca per ricostruire lo stato nazionale e riportarlo a diventare nuovamente una superpotenza globale. Propugnatore di nazionalismo, con l’insorgere in Europa di partiti sovranisti e populisti il presidente russo ha voluto fornire di sé l’immagine di bastione dei valori tradizionali.

I Servizi di Sicurezza di Kiev sono andati ad interrogare i religiosi rimasti fedeli a Mosca e ad ispezionare le proprietà religiose. La reazione dei vertici politici e religiosi di Mosca è stata di indignazione. Ne è seguito uno scontro sulle ricchezze, le proprietà, i legami politici e l’identità.

Alcune manovre di Putin

Il gioco di Putin: in vista dell’incontro di Buenos Aires, da scaltro negoziatore ed esperto giocatore d’azzardo, è possibile che il Presidente russo con la cattura delle tre navi e dei rispettivi equipaggi abbia voluto far salire la pressione per rinforzare le sue carte in sede di trattative. Le sanzioni, come si vede, non gli impediscono di comportarsi in modo spregiudicato e provocatorio.

In questo caso il calcolo è risultato errato. Le conseguenze del sequestro gli si sono rivolte contro: sotto la pressione dei suoi e del Congresso, all’ultimo momento il Presidente Trump ha annunciato che non ci sarebbe più stato nessun vertice.

Nota: In caso di curiosità da parte del lettore, e per meglio consentirgli di capire la partita religiosa tra Kiev e Mosca, fornirò alcuni dati sulle origini del problema.

Inizierò col definire il termine Tomos. Il significato letterale di questa parola greca può essere “sezione”. In termini schietti, per noi significa “documento”.

Nel mondo Ortodosso il Tomos rappresenta un rotolo o un libro di piccole dimensioni che nasce con uno scopo specifico: codificare i motivi della decisione di un Sacro Sinodo, ovvero un Concilio di Vescovi Ortodossi.

Definisce un decreto emesso dai vertici di una Chiesa ed è legato al grado di indipendenza di una chiesa autonoma per rapporto alla chiesa madre.

Il Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli venne fondato nel 330 dall’Imperatore Costantino. Lo scisma del 1054 fece poi dell’antica Bisanzio la prima Diocesi d’Oriente e il vertice della Chiesa Ortodossa, ormai totalmente separata da Roma. L’intenzione di Mosca di assumere il pieno controllo della Cristianità Ortodossa emerge con la Caduta di Costantinopoli del 1453.

La Russia e l’Ucraina hanno entrambe origine nel x secolo quando si forma una confederazione di popoli slavi che avevano deciso di abbracciare il cristianesimo. Nel 1448 il Patriarcato di Mosca, in opposizione al tentativo di unire la cristianità d’oriente con quella d’occidente, rompe con quello di Bisanzio: è il maggior scisma ad investire il mondo cristiano da quello del 1054. Darà in parte sanato nel 1589.

Il Patriarcato di Costantinopoli è un centro di potere rivale a quello di Mosca. La Chiesa ha così fornito all’autocrazia degli Zar un’impalcatura di teologia politica che faceva loro considerare Mosca come una Seconda Gerusalemme e una Terza Roma.

Nel 1686 era stato dato al Patriarcato di Mosca il potere di ordinare il capo della chiesa ortodossa di Kiev.

Un po’ di storia greca

A seguito della Rivoluzione Russa e, nel 1922 dello fondazione Stato Sovietico, la Chiesa Ortodossa dell’ex-Impero Zarista ha subito un forte scacco. Il clero è stato infiltrato da uomini dei servizi segreti. Le proprietà ecclesiastiche venivano confiscate e solo pochi seminari hanno potuto sopravvivere.

Dopo il collasso dell’Unione Sovietica nel 1991, la Chiesa Ortodossa Ucraina del Patriarcato di Kiev si è separata da quello di Mosca.

A questo punto, per non tediare oltre il lettore, occorre notare che molte di queste vicende sono strettamente collegate al Grande Scisma del 1054. Fra i motivi che portarono alla separazione della Cristianità tra Oriente e Occidente vi è la fedeltà di Bisanzio alla dottrina definita dal il Concilio di Calcedonia del 451.

L’Oriente inoltre non riconosce in nessun modo la superiorità materiale o teologica di un’autorità ecclesiastica indiscussa come quella Papale.

A ben vedere anche la Chiesa Russa ebbe la sua autocefalia proprio per questo motivo. Già prima dello Scisma, la fondazione nel 927 del Patriarcato di Sofia, uno dei due moderni, aveva sancito una grave rottura tra Roma e Costantinopoli.

Roma intendeva garantirsi il primato temporale su tutta la cristianità mentre Costantinopoli intendeva proseguire sulla tradizionale linea di autonomia patriarcale. La consuetudine che ad ogni Chiesa locale possa venire attribuita l’autocefalia, o almeno l’autonomia metropolita in base alla propria appartenenza territoriale, risale difatti ai tempi delle conquiste arabe nel VII secolo.

Ogni nazione ove si professi il credo ortodosso in maniera, se non maggioritaria, perlomeno rilevante ha la sua autocefalia. Ciò vale ad esempio per Cipro, la Grecia, la Polonia. Ad altre nazioni, dove la presenza ortodossa è minore come Finlandia, Giappone, Lettonia e persino Stati Uniti viene di norma concessa l’autonomia.

Tale autonomia era stata accordata anche alla Chiesa Ortodossa Ucraina da parte del Patriarcato di Mosca. Quando quest’ultimo non volle poi concedere alla Chiesa di Kiev l’autocefalia, si ebbe lo strappo che ha portato alla situazione attuale. Senza contare che proprio a Kiev fu fondata la Provincia ecclesiastica che ha dato origine al Patriarcato di Mosca.

L’attuale rottura di Mosca non fa che creare nuovi imbarazzi con Costantinopoli: i due Patriarcati non sono più in Comunione e quella che sembra una disputa territoriale sta minando le radici stesse di tutta l’Ortodossia sulla quale Costantinopoli ha da sempre l’indiscusso primato morale e giuridico.