La storia di un Paese meraviglioso
Le difficoltà degli Stati Uniti
Alla fine della presidenza Obama erano rimasti nel Paese 10.000 soldati. Con l’arrivo di Trump, malgrado la promessa elettorale di riportare a casa il contingente americano, il Pentagono ha fatto pressioni affinché vi si inviassero altre truppe. Il contingente si rafforza con 4.000 unità.

Nel Dicembre del 2017, a quasi diciotto anni dall’inizio dell’operazione Enduring Freedom, il vice-presidente Mike Pence dichiara che gli americani sarebbero rimasti in Afghanistan fino a che la libertà non avesse prevalso: per comprendere il Paese gli americani avevano dovuto andarci a combattere. Le prospettive restano tutt’ora incerte e la guerra contro i talebani troppo complessa per esser vinta.
Questa guerra è finora costata agli americani qualcosa come 2.500 uomini e circa 1.000 miliardi di dollari. Si erano infilati in Afghanistan seguendo un percorso pieno di promesse e senza sapere cosa li aspettava. Inoltre, con l’invasione dell’Iraq del 2003 tutti gli sforzi vennero diretti verso quest’ultima. L’Afghanistan aveva perduto la precedenza.
Già con Karzai la fiducia tra Washington e Kabul aveva iniziato ad incrinarsi. Con il tempo, il Presidente afghano ha preso a considerare gli Stati Uniti come degli occupanti piuttosto che come parte di una soluzione. Non si fidava più e li considerava pronti a manovrare alle sue spalle. Secondo gli americani Karzai era instabile, mancava di piglio decisionale e manifestava comportamenti paranoici.
Nel Paese, intanto, la produzione di oppio andava aumentando, cosa vera anche oggi. I rapporti col Pakistan, e soprattutto con le sue forze armate, non contribuivano ad alleggerire la situazione. La piena collaborazione di Islamabad era necessaria per
consentire il passaggio dei rifornimenti alle forze presenti in Afghanistan e per impedire ad al-Qaida e ai gruppi talebani di usare angoli remoti delle terre di confine come santuari e basi operative.
Le difficoltà degli Stati Uniti
I generali pakistani non si erano mai del tutto persuasi che prima o poi avrebbero dovuto scegliere tra gli Stati Uniti e i talebani. Non vi è da stupirsi se alla fine la Casa Bianca ha deciso di interrompere gli aiuti alle forze armate pakistane.
A poco sono servite quelle ventisette volte che il generale McMullen, Capo di Stato Maggiore Interforze, ha chiamato al telefono i vertici delle Forze Armate pakistane: i generali di Islamabad, e soprattutto i suoi servizi segreti, stavano in realtà giocando su più tavoli, ritenendo l’Afghanistan indispensabile alla sicurezza del loro Paese.
Non avevano inoltre intenzione che fossero gli Stati Uniti a deciderne il futuro politico. Da un lato accettavano volentieri gli aiuti di Washington, ma dall’altro appoggiavano in funzione anti-afghana i talebani e la rete Haqqani e contro l’India in Kashmir puntellavano il gruppo Lashkar e-Taiba.
In questa partita gli Stati Uniti si accorsero dei limiti del loro potere e che tutto potevano fare salvo che dare ordini. Forze Armate e Servizi Segreti pakistani continuavano ad essere incubatori di estremismo o a renderne possibili le attività. Questo gioco è costato a Islamabad circa 50.000 morti e agli Stati Uniti, fino a quando non hanno deciso di interromperli, almeno un miliardo di dollari l’anno in aiuti.
Questo è stato il grande problema di Washington: trovarsi di fronte ad un conflitto senza sbocchi e dal quale sarebbe stato impossibile uscire.