I miei rapporti con gli iraniani

I miei rapporti con gli iraniani

Ricordo ancora il mio primo incontro in Via Nomentana, nella vasta stanza tappezzata di giallo che spesso fa da sala riunioni. Venni accolto dal funzionario di grado più alto dopo l’Ambasciatore. Mi presentai avvertendolo che purtroppo il Partito Repubblicano di oggi non è certo quello di una volta: si trattava di un’entità vicina al microscopico. Il Ministro, addirittura prima di farmi accomodare, mi rispose che spesso in politica anche i piccoli partiti possono essere molto utili.

Passati pochi giorni, venni ricevuto dall’Ambasciatore in persona e finimmo col discutere per tutta la mattinata e buona parte del pomeriggio. Prima che ci lasciassimo mi chiese di preparargli un appunto sui vari punti di vista riguardo il suo Paese da parte dell’amministrazione americana. Nel giro di una settimana gli feci pervenire lo scritto. Ebbi la cura di redigerlo in inglese nel caso decidesse di inviarlo al Ministero degli Esteri di Tehran.

Col Ministro Consigliere riuscii nel tempo a sviluppare un ottimo rapporto, tanto che alcune volte partecipò addirittura ai nostri tavoli di politica estera. Quando l’Ambasciatore fu richiamato, egli ne fece le veci e mise a mia disposizione la residenza privata alla Camilluccia. Potevo invitarvi chi volevo a cena ai fini di sviluppare e approfondire i rapporti tra i nostri due Paesi.

Organizzai varie serate nelle quali veniva servita solo cucina iraniana. Ebbi come ospiti uomini d’affari e funzionari del ministero dei Beni Culturali. Cercammo di mettere in piedi alcuni progetti ma, triste da dire, malgrado tutte queste opportunità non riuscii a combinare niente: da parte italiana tante parole, nessun fatto e molte occasioni perse. Ero indignato, dato che era difficile partire con vantaggi migliori. Fu così che persi gradualmente la stima verso i nostri cosiddetti uomini d’affari. Volevano tutto gratis e pensavano fosse possibile far soldi senza prima investire: i soliti furbi che pretendono di lavorare con i denari degli altri. Quanto ai nostri funzionari, non furono in grado cogliere l’occasione e far decollare nulla.

Il mio amico fu con me talmente cortese e disposto a darmi fiducia, che mi organizzò un incontro con il presidente Ahmadinejad e poco dopo con il ministro degli Esteri Manoucher Mottaki. Furono per me due eventi piuttosto interessanti e devo dire che non trovai Ahmadinejad privo di abilità politica. Provai per lui persino una certa simpatia.

Come si sarebbero potuti sviluppare questi rapporti non mi è dato saperlo. A seguito delle manifestazioni di protesta che seguirono i risultati elettorali del 2009, il mio amico decise di schierarsi con “l’onda verde”. Mi disse gli era impossibile associarsi ad un governo che sparava sulla propria gente. Ne pagò presto le conseguenze. Fu richiamato in Iran e radiato dal corpo diplomatico. Riuscì brevemente a tornare in Italia e cercai in tutti i modi di dargli una mano.

Aveva bisogno di un lavoro altrimenti sarebbe stato costretto a rientrare in patria dove lo attendeva la prigione. Mi impegnai con tutte le mie forze per aiutarlo ma purtroppo contavo poco e nessuno voleva darmi retta. Fu così che aumentò il mio disgusto verso i nostri dirigenti: bisognava vedere come se lo corteggiavano quando era qualcuno, ma ora che era caduto in disgrazia nessuno mostrava più verso di lui il minimo interesse. Tornò sconsolato a Tehran. Fu arrestato e tradotto nel carcere di Evin. Oggi si trova in libertà vigilata.

L’unica cosa che mi riuscii fare per lui, fu di mobilitare le mie conoscenze nell’ambasciata americana ed ottenere un visto per sua figlia che oggi vive e studia negli Stati Uniti.