La Passione per il Mondo Antico

La Passione per il Mondo Antico

Oltre che alle questioni internazionali, mia grande passione sin dall’infanzia è stata lo studio del mondo antico e dell’archeologia.

La curiosità per la storia antica nacque da un’enciclopedia che mi venne regalata all’età di sei anni da una cugina di papà. Si chiamava Vita Meravigliosa ed abbracciava nei suoi volumi una varietà di soggetti. Ad attirarmi maggiormente furono quelli sulla mitologia, la guerra di Troia ed il ritorno di Ulisse. Da questi passai alle avventure di Enea, poi agli eventi dell’antica Grecia per passare alla storia di Roma. Mi divertivo molto a guardare le immagini e leggere i testi.

Il primo vero contatto col mondo antico avvenne in Libia. Mio padre aveva lì delle attività di lavoro ed un giorno decise di portarci tutti con sé. Avevo nove anni e questo fu il mio primo viaggio in aereo ed il mio primo soggiorno all’estero. Mario Mondello, che papà aveva conosciuto durante il suo periodo con Sforza, era all’epoca ambasciatore a Tripoli. Un giorno organizzò per noi una visita agli scavi di Leptis Magna.

Ricordo che ci alzammo prestissimo ed in automobile percorremmo tutta la strada da Tripoli a Leptis Magna. In macchina con noi sedeva anche Ernesto Vergara Caffarelli. Era l’archeologo che si occupava degli scavi e del complesso archeologico che ci avrebbe fatto visitare. Gli adulti iniziarono presto a conversare con lui e dopo poco tempo i discorsi caddero sulla storia dell’antica Roma e della sua presenza in Africa.

Credo che l’anziano studioso rimase sorpreso nel sentire una voce infantile proveniente dal sedile posteriore che si insinuava nella conversazione e pretendeva dire la sua in materia di cose antiche. Con grande pazienza e cortesia, egli diede retta allo sgorbietto che gli stava alle spalle e lo lasciò non solo partecipare al dibattito ma gli dette anche tutte le risposte del caso. Ad affascinarmi era anche il paesaggio che in alcuni punti assumeva un aspetto desertico e nel quale era ogni tanto possibile vedere pascolare dei cammelli. I colori dell’alba erano splendidi e l’esperienza era per me del tutto nuova. Sulla nostra sinistra a tratti appariva il mare.

Arrivati finalmente sul posto, entrammo con lui tra le rovine e subito iniziò a farci da guida. Rimasi talmente affascinato da ciò che ci raccontava e dalla sua capacità di resuscitare la vita urbana del mondo antico, che mi attaccai a lui e non lo mollai più fino alla fine della visita. L’anziano archeologo percepì subito la mia curiosità e modulò l’escursione in modo tale da renderla adatta anche ad un bambino.

Durante l’escursione, emozionatissimo, raccattai alcuni frammenti di anfora, tra i quali un paio di manici e di piedi. Al momento di uscire dagli scavi venni aggredito da un guardiano che mi intimò con modi bruschi di lasciare quei pochi frammenti che io tenevo come fossero reliquie. Ero talmente ferito, seccato e deluso che non riuscii a trattenere le lacrime. Vergara Caffarelli si avvicinò, mi restituì quei coccetti e disse al guardiano che non si trattava di nulla di importante, mentre per me erano cose preziosissime. Il guardiano accennò ad un sorriso e mi fece uscire con tutti i miei coccetti.

Poco dopo fummo raggiunti da un paio di ragazzini in abito locale che iniziarono a saltarci intorno per offrire una manciata di monetine antiche. Vergara Caffarelli dette loro un’occhiata, disse che erano autentiche e del IV secolo d.C. Mio padre, con gran gioia dei ragazzini, ne acquistò alcune e a mia gioia ancor maggiore me le diede in regalo.

Sulla strada del ritorno, forte delle mie letture di Vita Meravigliosa e della visita appena svolta, non feci che parlare di storia antica e tempestare di domande il povero Vergara Caffarelli. Da quel momento decisi che in un modo o in un altro nel corso della mia vita mi sarei occupato di cose antiche.

Il giorno successivo fummo invitati a pranzo in Ambasciata e dopo il pasto Mario Mondello mi consegnò una scatoletta. Al suo interno vi erano i frammenti di una piccola lampada ad olio romana decorata con un uccello. Ne rimasi estasiato e tenere in mano quei frammenti di una vita antica mi riempì di emozione. Tornato a Roma trovai in Via Frattina una piccola bottega artigiana che restaurava ceramiche. Portai loro la lampada e nel giro di pochi giorni me la consegnarono incollata. Non era completa ma a me parve una cosa meravigliosa. L’ho sempre tenuta con me fino a che non mi è stata sequestrata da un magistrato imbecille perché priva di fattura anteriore al 1902 e di indubbia provenienza italiana.

Alcuni giorni dopo la visita a Leptis Magna, con tutto il nostro gruppo presi l’aereo e volammo verso l’oasi di Gadames. Si atterrò nel deserto e trovai il luogo affascinante. La sua sorgente mi apparve come magica e piuttosto interessante l’interno di alcune casette del posto. Nel vicinato erano ancora visibili alcuni resti di epoca romana. Prima di riprendere il volo per Tripoli, venimmo affiancati da alcuni tuareg che ci mostrarono una trentina di oggetti preistorici in selce, soprattutto punte di frecce. Li acquistammo tutti e, dopo averli ben incartati in un vecchio giornale, me li infilai in tasca per potermeli godere una volta tornato a Tripoli.

Sempre con Ernesto Vergara Caffarelli visitammo il museo di Tripoli. L’anziano archeologo, che bene non stava, doveva avere intuito questa mia improvvisa passione. Mi dedicò tutto il tempo disponibile. Sapeva di essere ammalato e, sentendosi prossimo alla fine, voleva probabilmente lasciare qualcosa della sua vita a qualcuno. Deve aver pensato che fossi la persona adatta ed in fondo non posso dire abbia sbagliato. Ancora ricordo tutto come fosse ieri e gli sono molto grato.

Tornato a Roma, all’epoca vivevo dalla nonna, presi dalla cucina uno di quei carrelli a due ripiani per servire le pietanze e vi disposi in bell’ordine tutti i cimeli riportati dalla Libia. Così è nata la mia piccola collezione. All’età di undici anni conobbi una archeologa, Anna Batchvarova, che in collaborazione con l’Accademia Inglese dirigeva gli scavi della necropoli dei Quattro Fontanili alle spalle dell’antica città di Veio. Tramite lei conobbi Ward Perkins e divenni una sorta di mascotte per l’Accademia. Ogni fine settimana andavo a Veio e partecipavo agli scavi. E’ così che sono venuto in contatto con la fase villanoviana della civiltà etrusca e familiarizzai con le urne cinerarie biconiche, i rocchetti di impasto, le fibule ed i rasoi in bronzo e le collanine di ambra e pasta vitrea.

La Batchvarova mi fece conoscere il mercato di Porta Portese che all’epoca aveva tutto un settore dedicato alle antichità. Ogni volta che era possibile ci andavamo insieme e mi divertivo un mondo. Lei mi interrogava sugli oggetti per vedere cosa capissi e mi diede anche parecchie lezioni. È lì che entrai in contatto con il bucchero e le coppette dei piccoli maestri. Ogni volta che avevo qualche lira in tasca negoziavo l’acquisto di qualche monetina o di alcuni vasetti. Imparai anche qualcosa riguardo i falsi, così da poterli distinguere dagli oggetti autentici. Fu una buona scuola.

Conobbi anche Fallani, che aveva una galleria a Via del Babuino ed iniziai a frequentare le bancarelle di Fontanella Borghese, situate ad un tiro di schioppo dall’ufficio di papà. Ve ne era una gestita da un signore con cappotto scuro, cappello grigio e baffetti. Era sempre lì insieme a sua moglie. Non avendo molti denari a disposizione, vi acquistai soprattutto degli oggetti per alcuni amici dei miei genitori che volevano qualcosa per casa loro. Per quel che mi riguarda, quando possibile, vi prendevo dei denari repubblicani che all’epoca (avevo dodici o tredici anni) costavano 500 lire l’uno. Anche in questo caso, l’esperienza mi fu utile perché allargai la mia conoscenza agli impasti del periodo arcaico che attirarono la mia curiosità.

A casa i miei genitori avevano alcuni oggetti antichi acquistati soprattutto durante il periodo americano di papà. Un certo numero di questi erano egiziani e quando a scuola iniziammo a studiare l’antico Egitto, li mettevo in una scatola e li portavo in classe per condividerli con i miei compagni e rendere più vive le lezioni della professoressa di Storia.

Nel giro di un paio di anni mi iscrissi al GAR (Gruppo Archeologico Romano) ed iniziai tutta una serie di esplorazioni nei territori di Cerveteri e di Tarquinia. In quel periodo conobbi Bruno Molaioli e Mario Moretti, che aveva il suo ufficio nel museo di Villa Giulia. Con la mia squadra lavoravo soprattutto a Cerveteri. Per suo conto feci una serie di rilevazioni di tombe da poco esplorate dai clandestini. Egli apprezzò non poco questa nostra attività e spesso mi recavo a trovarlo per parlare di cose etrusche.