Uno sguardo sulle attività dei mercenari russi in Siria e sul caso dell’avvelenamento di un ex-spia di Mosca in Gran Bretagna
Alcune ore decisive per le sorti del Medio Oriente
Per il Medio Oriente queste ultime settimane sono state densissime di eventi. In prima pagina restano sempre gli sviluppi della crisi siriana, iniziata nel 2011 nell’ambito di quel movimento di difesa dei diritti dell’uomo e delle libertà civili passato con il nome di Primavera Araba.
Di fronte al costante peggioramento della situazione seguito alla sconfitta dell’Isis, sembrava vi fosse la possibilità di un accordo tra Stati Uniti e Russia, basato sulla risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del Dicembre 2015. Si riteneva che la sconfitta dello Stato Islamico avrebbe potuto facilitare questo percorso.

Le cose purtroppo si sono complicate ed oggi si combatte per il territorio. La Siria è scivolata in disordini sempre più gravi, cosa che potrebbe stingere anche sulle altre crisi regionali.
Nel giro di una manciata di giorni Russia e Israele hanno visto abbattuto un loro aereo da combattimento, la Turchia ha perduto due elicotteri e l’Iran un drone. Il Paese nel frattempo sembra dividersi e spezzettarsi ulteriormente, evocando una situazione simile a quella vissuta dall’ex-Jugoslavia. Sarebbe stato necessario intervenire prima, purtroppo nessuno lo ha fatto e la Siria è stata sacrificata a giochi di parte e di potenza, dove tutti i protagonisti finiscono col pestarsi i piedi.
Mentre l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti dell’Uomo annuncia che Assad sta pianificando l’apocalisse, si è ora costretti a sentire che il presidente siriano sta cercando di far passare una rivoluzione per un’azione di terroristi. Il silenzio e l’indifferenza di buona parte della stampa, della politica e dell’opinione pubblica su ciò che sta accadendo ha dello scandaloso: nessuno parla chiaramente e questo è un insulto alla verità. A rimanere sono adesso il terreno e i luoghi dove si combatte.
La Ghouta orientale ricorda i peggiori giorni dell’assedio di Aleppo; l’intervento di Ankara contro i curdi nella regione di Afrin è un ulteriore fattore di complicazione, ma non avrà un ruolo decisivo; in aumento le tensioni tra Israele e l’Iran riguardo la politica di penetrazione di quest’ultimo in Siria.
Dando prova di mancanza di senso politico e morale, l’Europa, bloccata dai suoi problemi interni che ne impediscono la spinta verso l’unione è, tanto per cambiare, del tutto assente. Resta intatto il duopolio Stati Uniti e Russia, i quali si stanno giocando le loro carte, trovando però più difficile controllare i propri alleati. Ambedue sanno bene che la soluzione non può che essere politica. L’aggravarsi degli eventi rende però più difficile stabilizzare la situazione: quanto potrà durare questo stato di cose?
Vogliamo ricordare che spesso, alla vigilia di una grande trattativa, i partecipanti mostrano sempre i muscoli e spesso adottano atteggiamenti di maggiore intransigenza. Volendo forse ignorare le dichiarazioni del Segretario di Stato americano Tillerson, che aveva lasciato chiaramente intendere che per almeno altri due anni gli Stati Uniti sarebbero rimasti in Siria, il presidente russo Putin ha tentato di forzare la mano inviando un contingente di combattenti russi ad appoggiare un tentativo di Assad di sfondare il fronte nella zona di Deir Ezzor. Hanno forse voluto approfittare del fatto che, con i loro comandanti, numerosi miliziani curdi hanno deciso di muoversi verso Afrin per contrastare l’avanzata turca.
Si trattava di attraversare il fiume Eufrate per attaccare una zona di pozzi petroliferi controllata da milizie della coalizione capeggiata dagli Stati Uniti. In loro difesa è subito intervenuta l’aviazione americana e da fonti ufficiali apprendiamo che nel corso dell’azione cinque militari russi sarebbero rimasti uccisi. La verità è però un’altra e per capire cosa è successo dovremo guardare altrove.
Poco lontano da Sverdlovsk, in un piccolo centro che all’epoca del comunismo aveva conosciuto tempi migliori, regna tra la gente uno strano silenzio. Si tratta di uno dei tanti paesi depressi visibili nella Russia di oggi: a regnare sono mancanza di lavoro, alcol, povertà e rassegnazione. Da alcune frasi pronunciate per strada si è potuto sapere che almeno sei giovani erano partiti per la Siria.
Dopo gli scontri vicino a Deir Ezzor di loro non si sono avute più notizie. Correva comunque la voce che uno di questi fosse rimasto ucciso. Si è così aperto uno squarcio su di una realtà tenuta nascosta che ha svelato l’esistenza di società di reclutamento mercenari, in teoria vietate in Russia.
Una storia moderna
La gente di questo villaggio non ama parlarne. Si dice che molti abbiano paura e che di fatto questi giovani si sarebbero recati in Siria per distribuire aiuti alimentari. La verità è un’altra: si tratterebbe di gente pagata per andare a combattere. Il tutto è coperto da segreto, ma si mormora di cerimonie presiedute da cosacchi e benedette da un pope che, in un’atmosfera intrisa di nazionalismo e di fondamentalismo cristiano, faceva baciare alle nuove reclute una frusta ed una croce ortodossa. Dava poi la sua benedizione dicendo loro che partivano per servire la Santa patria russa.
Ecco come si sarebbero svolti i fatti. Divisi dall’Eufrate, gli uni su di una riva e gli altri su quella opposta, americani e mercenari russi stavano appoggiando due diverse offensive contro elementi dell’Esercito Islamico nella regione di Deir Ezzor. Ad un certo punto i militari americani si sono trovati non senza preoccupazione ad osservare
l’ammassarsi di centinaia di combattenti con appresso pezzi di artiglieria e veicoli da combattimento, inclusi carri armati T-72 e mezzi blindati per il trasporto di truppe.
Tramite i canali di comunicazione stabiliti tra le due forze armate, gli americani avevano espresso ai russi il loro allarme: alcune intercettazioni avevano reso evidente che tra gli attaccanti vi erano elementi di lingua russa.
La risposta dell’Alto Comando russo fu che non erano in grado di controllare quello che i siriani stavano facendo nelle vicinanze del fiume e che, per quanto ne sapessero, non vi erano militari russi coinvolti nell’azione.
Di fronte a quest’offensiva giunse dallo Stato Maggiore di Washington l’ordine di annientare gli attaccanti che si stavano dirigendo verso gli avamposti dell’alleanza. A contrastarli, miliziani arabi e curdi delle forze democratiche ed un gruppo di una quarantina di commando statunitensi.
Dalla base di Al-Udeid, in Qatar e dagli schermi del Pentagono, gli addetti alla sorveglianza delle operazioni assistevano allo svolgersi dell’azione e mettevano in allerta le forze aeree dislocate nell’area.
Passate alcune ore, coperte dal fuoco dei carri T-72, dai pezzi di artiglieria pesante e dai mortai, le forze di Assad mossero all’attacco.
Da parte americana vennero immediatamente riattivati i canali con i russi per far cessare l’offensiva. Visto che nulla si fermava venne ordinato di sparare dei colpi di avvertimento che però non ebbero effetto: l’avanzata continuava.
A questo punto intervenne l’aviazione che martellò le forze attaccanti per circa tre ore. Seguirono una serie di aspri combattimenti che videro coinvolti anche i soldati americani, raggiunti nel frattempo da una quarantina di elementi di rinforzo. Dopo circa un’ora gli attaccanti iniziarono a ritirarsi e, una volta cessato il fuoco, tornarono sul campo per raccogliere i propri morti.
Partendo dal fatto che migliaia di cosacchi si erano recati a combattere per Mosca nell’oriente ucraino ed avevano partecipato all’annessione surrettizia della Crimea, operazioni nelle quali ufficialmente nessun militare russo sarebbe stato coinvolto, questa pista cosacca ha condotto ad Ekaterinburg che si è scoperto essere la sede di un’organizzazione paramilitare privata dal nome Wagner.
Questa società, considerata al servizio del Cremlino, è attiva dal 2015 ed alcuni dei suoi uomini sarebbero stati coinvolti anche in omicidi politici.
Secondo i servizi segreti americani, la Yevro Polis di Yevgeny Prigozhin, società di catering e ristorazione, ha un suo ufficio a Damasco che si occupa di estrazione di gas, petrolio e minerali. Questa servirebbe anche come copertura alle operazioni del gruppo Wagner, del quale Prigozhin, molto vicino a Putin, sarebbe di fatto il proprietario.
Egli prende i suoi ordini dal Cremlino e fa parte di quel gruppo di oligarchi sanzionati nel corso dell’inchiesta sulle interferenze di Mosca nel corso delle elezioni americane del 2016. Si è poi venuto a sapere che alle reclute veniva imposto il silenzio assoluto riguardo le loro vere funzioni, al punto che se fosse trapelato qualcosa a loro non sarebbe più stato corrisposto lo stipendio.
Sul territorio siriano vi sarebbero attualmente tra i 2 e i 3000 mercenari russi che in precedenza avevano anche partecipato ad alcune importanti azioni di guerra, quali la presa di Palmira e la riconquista della regione di Deir Ezzor. Compito di questi uomini è anche quello di sorvegliare le installazioni petrolifere catturate all’Isis. Si dice anche che intascano una parte del valore della produzione petrolifera dei pozzi che aiutano a liberare.
La verità è però difficile da nascondere e da un ufficiale cosacco della stessa Wagner è risultato che le vittime russe dell’azione americana non sarebbero le cinque dichiarate ufficialmente, né le centocinquanta delle quali alcuni giornali avevano vagamente parlato, bensì duecentodiciotto.
Casi di spionaggio
Di queste, i resti di centocinquanta sono stati raccolti in sacchi speciali e parcheggiati in celle frigorifere all’interno della base Wagner di Molkino. I corpi, è stato detto, verranno restituiti alle famiglie dopo le elezioni. I resti degli altri si troverebbero ancora in Siria.
Questo episodio sta a mostrare che quando uno Stato non può schierare ufficialmente soldati all’estero, spesso ricorre all’ingaggio di combattenti al soldo. Così ha fatto Mosca in situazioni nelle quali non vuole vedere associato il suo esercito.
Corre voce che sia da poco iniziata una nuova campagna di reclutamento per sostituire le perdite. Alcune di queste reclute verranno schierate in Libia e anche in un certo numero di paesi africani. In quest’ultimo caso servirebbero soprattutto a proteggere gli interessi economici di Mosca.
Il 4 Marzo, nella cittadina inglese di Salisbury, un ex-agente segreto russo insieme a sua figlia è stato attaccato con un agente nervino. In gravi condizioni anche un poliziotto inglese che ha prestato loro soccorso. Contaminate in modo meno grave pare vi siano altre 21 persone. Si tratta del caso di Sergei e Yulia Skripal. Londra ha affrontato l’episodio come un gravissimo incidente, cosa che rischia di avvelenare i rapporti tra i due Paesi. Non si può impiegare un prodotto letale come il Novichok che si sa essere fabbricato solo in Russia e sperare di farla franca. Che vi si possa vedere l’azione di qualcuno ingaggiato appositamente?
La natura del prodotto usato per l’avvelenamento e la dinamica stessa del tentato omicidio rendono evidente non si sia trattato di un gesto improvvisato. La vittima già da qualche tempo doveva trovarsi sotto sorveglianza. Quando si tratta di colpire un nemico o un dissidente, è di tutta evidenza che per i regimi autoritari le frontiere sono diventate aleatorie.
Per concludere, con qualche fortuna e molta abilità sarà possibile determinare il dove e il come è iniziato il processo di avvelenamento di Skripal e sua figlia. Data la natura dell’operazione, ritengo che con tutta probabilità non sarà possibile risalire al mandante: un lavoro di questo genere è opera di professionisti. Di fronte a quest’atto di provocazione, l’Occidente ha risposto ordinando la cacciata di oltre 100 diplomatici russi da 26 paesi.
Sergei Skripal, un veterano dei servizi segreti militari russi (GRU), vive in uno stato di semi-pensionamento in Gran Bretagna. Vi era giunto nel 2010 a seguito di uno scambio di spie. Spesso viaggiava per offrire indicazioni sulle operazioni all’estero degli agenti di Mosca. La cosa era ovviamente a conoscenza degli inglesi che l’avevano approvata in quanto consentiva a Skripal un ulteriore reddito da integrare al suo basso stipendio. Egli comunicava informazioni utili ai servizi alleati. Si trattava di normali atti di cooperazione tra agenzie di intelligence.
Nel 2012 si era recato a Praga per incontrarsi con elementi dei servizi segreti cechi. Scopo dell’incontro era quello di informarli sulle attività e le pratiche dei suoi colleghi del passato. In segreto, questi stessi elementi si erano recati alcune volte a trovarlo in Inghilterra. Per gli stessi motivi, nel 2016 era stato in Estonia.
Questo tipo di attività non è da considerarsi illegale né fuori dal comune per agenti che avevano scelto di disertare. Benché avesse abbandonato il suo lavoro nel 1999 e subìto una sentenza di 13 anni di carcere per tradimento, buona parte delle notizie che poteva fornire non erano proprio fresche. Malgrado ciò, il suo agire non veniva certo visto di buon occhio da Mosca ed è assai probabile che fosse tenuto sotto osservazione: era infatti concepibile che potesse occasionalmente occuparsi di reclutare nuove spie russe.
Il Cremlino nega ogni responsabilità nell’incidente. Resterebbero allora due possibilità: o i depositi di gas tossici in Russia sono così poco sorvegliati da consentire a tutti l’accesso oppure qualche altro potere ha agito all’insaputa di Putin. Non vi è adesso che da attendersi una bella campagna di disinformazione da parte di Mosca. La situazione resta comunque preoccupante e con tutta probabilità verranno riaperte le inchieste su altri quattordici casi di omicidio nei quali erano rimasti coinvolti cittadini russi sul suolo britannico.
Tra pochi giorni si avranno le presidenziali in Russia. Quest’episodio potrebbe servire alla campagna di Putin, che non ha mai fatto mostra di essere particolarmente attaccato alle regole. Così facendo egli è in grado di lanciare un avvertimento ai suoi oppositori e aumentare i consensi elettorali, incutendo timore sia all’interno del Paese che a livello internazionale.
Il messaggio sarebbe il seguente: la Russia è minacciata dai suoi nemici interni ed esterni ma Putin non può essere ignorato. Egli è potente; egli non dimentica e non perdona. In poche parole, grazie a lui la Russia può far vedere al mondo che non solo è perfettamente capace di agire ma è anche in grado di farlo. L’operazione fa parte di quelle attività chiamate “minacce ibride”, modo sottile e silenzioso per indebolire la solidità di governi, istituzioni e delegittimare le democrazie.