Il Principe riformatore

La scommessa di Mohammed bin Salman

Alcuni mesi fa, sfogliando una serie di giornali, sono incappato in una fotografia che ho trovato piuttosto divertente e forse anche non priva di un suo significato. Scattata a Buckingham Palace, con tutti gli orpelli di una visita di Stato, vi si vedeva in piedi un gigantesco bin Salman con accanto una piccola e minuta Regina Elisabetta.

La cosa mi ha fatto pensare e ho deciso di buttar giù alcune righe per spiegare chi è il giovane principe, quali sono i tentativi di riforma che egli sta cercando di portare avanti, le sue azioni in politica estera ed i rischi insiti nel realizzare questi progetti.

 

A seguito del crollo del prezzo del petrolio, il 32enne principe Mohammed bin Salman ha deciso fosse saggio riformare il Paese e liberarlo dalla sua quasi totale dipendenza dai proventi petroliferi.

Penso abbia anche avuto in mente gli echi di tutta quella serie di eventi che hanno sconvolto il mondo arabo e che sono passati con il nome di Primavera Araba. Sono certo abbiano proiettato un’ombra sinistra su quelli che potrebbero essere i destini della monarchia saudita.

Re Salman, dal momento della sua ascesa al trono, ha fatto ricorso ad una serie di consulenti esteri per cercare consigli su come diversificare l’economia ed effettuare indagini sul profilo psicologico del suo popolo al fine di determinarne il possibile comportamento e l’eventuale scontento di fronte alle riforme suggerite. Tra le società interpellate vi erano la McKinsey e la Boston Consulting. Interessante l’uso della SCL, società dalla quale è poi nata la Cambridge Analytica.

Per la monarchia saudita si trattava di un progetto urgente al fine di trovare il modo adatto per manovrare le leve del potere, evitare eventuali proteste e gestire ogni forma di possibile scontento.

Nel 2016, infatti, il prezzo del petrolio era precipitato sotto i 30 dollari al barile. La situazione rischiava di presentare non pochi pericoli per un paese nel quale il 70% della popolazione ha meno di 30 anni. Il risultato di queste ricerche è stato poi trasmesso alle società che stavano elaborando ciò che sarebbe diventato il progetto per il 2030.

Il futuro nell’ottica di “Visione 2030”: Il progetto presentato dal principe ereditario, battezzato “Visione 2030”, si basa in gran parte su di una politica di austerità, accompagnata da una campagna di apertura verso i giovani.

Per far fronte alle difficoltà finanziarie e a una popolazione crescente, egli ha pensato di aumentare le tasse, incoraggiare i giovani a cercare impiego nel settore privato e modificare quel modello di sovvenzioni, prodotto di un’economia fondata quasi esclusivamente sullo sfruttamento delle risorse energetiche.

Ha presto capito che un’economia basata sulle rendite petrolifere ed una monarchia fondata su di un antico patto sottoscritto nel 1744, che ha finito con l’affidare un enorme potere al clero wahabita, non erano più in grado di funzionare efficacemente ed affrontare sia i problemi che le sfide emerse con il nuovo secolo.

Agli occhi del giovane principe ereditario la disoccupazione crescente è fonte di allarme. Recentemente è aumentata dal 11,6% nel terzo quadrimestre del 2016 al 12,8% nello stesso periodo dello scorso anno. Affrontare il problema è particolarmente urgente, dato che colpisce soprattutto i giovani.

Da qui l’esigenza di diversificare l’economia e cercare di creare nuovi impieghi nel settore privato: egli ha in mente di creare 450.000 posti di lavoro entro il 2020 e in questo stesso periodo di ridurre la disoccupazione dal 12% al 9%.

Oggi poco meno della metà degli impieghi in campo privato riguardano l’edilizia, cosa che incoraggia l’importazione di manodopera estera, ma non attira la gioventù saudita e non è certamente adatto alle donne, che costituiscono l’85% di chi è in cerca di lavoro.

Il 33% di loro sono attualmente disoccupate. I due terzi dei sauditi sono in questo momento impiegati statali e il 90% dei lavori nel settore privato sono detenuti da stranieri.

Diventa perciò essenziale sviluppare settori quali turismo, commercio e trasporti, più adatti a creare impiego tra i giovani. In vista di ciò il governo saudita ha annunciato la chiusura agli stranieri di dodici settori dell’economia al fine di riservarli ai propri cittadini. Se non si affronta infatti la sfida della disoccupazione giovanile si teme l’insorgere di problemi quali una ripresa dell’estremismo religioso.

Un cambiamento difficile: Per cambiare la struttura dell’economia del Paese sarà probabilmente necessario il tempo di una generazione. Per svilupparsi, il settore privato avrà bisogno di cospicui finanziamenti da parte dello Stato.

Serviranno anche contratti preferenziali e benefici come, per esempio, terreni ed energia gratuiti. La manodopera importata dovrà essere a buon mercato. I problemi più seri con i quali dovrà confrontarsi il giovane principe sono quelli del risentimento politico, della disoccupazione giovanile e delle vistose disuguaglianze in seno alla società.

Fino a dove arriverà il cambiamento e fino a che punto il giovane principe riterrà opportuno condurre il suo progetto di riforma? Cosa pensa di fare nel campo dei diritti dell’uomo? Fino a dove intende spingersi? Vi sarà anche un’apertura verso altre religioni? Come si concluderà il suo avventurismo in politica estera?

Sotto il precedente monarca, Re Abdullah, che aveva incarnato tutta quell’idea di moderno che il giovane principe vorrebbe vedere avanzare nel paese, era stato deciso un progetto dal nome KAEC, ossia la Città Economica di Re Abdullah. Gli esiti di questo progetto dovrebbero avvisarlo sui problemi che potrebbe incontrare.

La KAEC è stata creata dieci anni fa con un costo di trenta miliardi di dollari. Essa consiste in sei nuovi centri urbani concepiti per creare lavoro, diversificare l’economia e incoraggiare gli investimenti esteri.

Di questi ne è stato realizzato uno solo e non è riuscito ad oggi ad attirare più di 7.000 residenti. I destini di questo progetto sottolineano quanto non sia facile cambiare il Paese e diversificarne l’economia.

La risposta del giovane Mohammed bin Salman sta ora nel progetto di una mega città dal costo di 500 miliardi di dollari. Si tratta del cosiddetto NEOM, che dovrebbe aprire le porte ad un nuovo futuro. E’ un disegno dei più ambiziosi e dovrebbe contribuire al prodotto interno lordo per circa 100 miliardi di dollari entro il 2030.

A finanziarlo, il PIF, Fondo Pubblico di Investimenti. La sua superficie dovrebbe coprire 26.000 miglia quadrate ed il suo fine sarebbe quello dello sviluppo di nuove tecnologie quali la robotica e le energie rinnovabili.

Finora – va detto – sia le società saudite che quelle estere si sono mostrate riluttanti ad investire in settori diversi da quelli dell’energia.

L’Arabia Saudita è oggi un paese fragile, in cima al quale siede una famiglia reale al cui interno non si può dire regni il consenso. Di fronte ad una situazione come quella di oggi e anche da un punto di vista razionale, il programma di riforme iniziato dal giovane principe ereditario è non solo ineludibile ma anche realizzabile.

Certo, egli sta prendendo dei rischi e si farà non pochi nemici, ma per sopravvivere una monarchia ha bisogno di cambiare. Tutto sta nel trovare la giusta dose e gli equilibri adatti per condurre questa trasformazione.

La popolazione saudita è generalmente conservatrice e non si sa fino a che punto sia disponibile a cambiamenti radicali: persino tra i giovani, che sono la maggioranza, va detto che non sono in pochi a trovarsi a disagio con la modernità.

Buona parte delle donne è certamente favorevole al cambiamento e, non a caso, uno dei nodi da affrontare è quello della legge sul loro tutelato.

In molti pensano vada abolita, in quanto comporta costi troppo elevati per la società. In breve, ad ogni donna spetterebbe un tutore maschio che sia padre, fratello, marito o persino figlio.

A questi spetta prendere decisioni sul matrimonio, la richiesta di un passaporto, viaggiare o studiare all’estero. Fino a che non verrà consentito all’elemento femminile di realizzare il suo potenziale e trovare il suo posto nel futuro del Paese, sarà difficile al giovane principe apparire quale riformista e raggiungere i suoi obiettivi economici.

Sarà inevitabile procedere con la massima cautela, soprattutto nei rapporti con un clero dall’atteggiamento dei più conservatori.

Alcune considerazioni sul progetto: Visione 2030 parte dall’assunto che sia indispensabile una profonda riforma della società: l’andamento negativo dei prezzi del petrolio e le difficoltà economiche che ne sono seguite rendono urgente il bisogno di renderla effettiva. Questo è ancor più vero se si considera l’andamento demografico che registra il costante aumento della popolazione.

Visione 2030 imporrà modi di austerità che potrebbero sfociare in non pochi problemi: togliere le sovvenzioni è inevitabile, ma la società va preparata per tempo. In alcuni casi il giovane principe ha dovuto fare marcia indietro, non tanto per via delle proteste quanto per la caduta della domanda che ne è seguita.

Interessante anche vedere quali saranno le reazioni della componente religiosa, oggetto anch’essa di questi tagli.

E’ indubbio si tratti di una scommessa audace, soprattutto se si pensa che questa serie di riforme viene attuata piuttosto rapidamente, fatto inconsueto per l’Arabia Saudita.

Sono però ineludibili: il Paese, infatti, non è più in grado di sostenere uno stato assistenziale troppo generoso e vi è anche da tener conto di un contesto regionale in pieno cambiamento per via dei traumi derivanti dalla Primavera Araba.

Chi è Mohammed bin Salman: Noto anche come MBS, egli è il figlio preferito dell’attuale monarca, Re Salman. Ha fatto i suoi studi in Arabia Saudita, si è laureato in Giurisprudenza all’Università Re Saud e non parla inglese. Chiamato da suo padre, ha iniziato la carriera politica quando venne nominato Governatore della provincia di Riyadh.

Alla morte del re Abdallah, suo padre è salito al trono e lui, nel Gennaio del 2013, è stato catapultato a ministro della Difesa e a Segretario Generale della Corte Reale: la linea di successione è così passata dai figli di Ibn Saud, fondatore del regno, a quella di Salman. Oggi suo padre gli ha fatto avere quasi tutti i poteri. Anche se non ancora re, sia il presidente Trump che la Regina Elisabetta si sono resi conto che è lui la persona con la quale trattare.

Il principe ereditario è favorevole ad un Islam aperto e tollerante ed è conscio che nel suo percorso sarà destinato ad incontrare non pochi nemici. Ha ridotto al silenzio qualsiasi membro del clero opposto alle sue riforme sociali e ha tolto alla Polizia religiosa il potere di arrestare le persone.

La vera sfida e prova del suo potere, sarà sottrarre l’istruzione dal controllo del clero wahabita: solo in questo modo potrà sperare di ostacolare la disseminazione dell’estremismo islamico, reinventare il regno e condurre il Paese nel XXI secolo.

E’ opinione generale che ciò porterà ad una maggiore sicurezza e questo è particolarmente vero se si ricorda l’attività del clero wahabita nell’esportare un’ideologia radicale che ha finito con l’alimentare i gruppi islamici più radicali quali al-Qaeda e Isis.

Sarebbe utile ricordare che il più diffuso manuale dello Stato Islamico non era che una raccolta di scritti di studiosi wahabiti redatti tra il XVIII ed il XX secolo.

Per via di tutto questo, liberalizzare ed aprire una società irregimentata dalla religione diventa impellente: egli infatti si sta facendo alleati soprattutto tra le donne ed i giovani, indicando loro un futuro di maggior progresso e libertà. In Arabia Saudita due terzi della popolazione sono sotto i trent’anni.

Primi passi verso il cambiamento: Non a caso, dopo un divieto durato 35 anni, ha concesso l’apertura di sale cinematografiche e permesso alle donne di avere la patente, oltre a consentire loro l’accesso agli stadi. Si è mostrato disposto a sviluppare le arti, l’intrattenimento ed il turismo. Sotto l’egida dell’Autorità Generale per l’Intrattenimento, l’anno scorso si sono svolti nel Paese più di duemila eventi.

E’ così che in Arabia Saudita, uno degli angoli più conservatori del mondo, si è potuto di recente assistere alla produzione dell’opera “Antar e Abla”, passeggiare per un festival di fumetti ed assistere a concerti e spettacoli di danza. Dagli Stati Uniti è arrivato il rapper Nelly, dall’Egitto la popstar Tamer Hosny, dalla Grecia Yanni e persino Le Cirque du Soleil e una sfilata di moda.

Creato un comitato per combattere la corruzione, il principe ha recentemente iniziato a farne applicare le regole. Il suo obbiettivo: incrementare ed accentrare il proprio potere, rafforzare la sua autorità all’interno del Paese, oltre che sbarazzarsi di potenziali nemici e racimolare non pochi denari per rimpinguare le casse dello Stato.

Dopo averli sequestrati nell’hotel Ritz-Carlton di Riyadh, ha effettuato una purga di principi e importanti uomini d’affari: se da un lato ha tolto di mezzo dei rivali, dall’altro ha irritato non pochi membri della famiglia reale.

Ne è seguito il licenziamento del ministro dell’Interno, principe Mohammed bin Nayef e del comandante della Guardia Nazionale, principe Mutaib bin Abdullah, ambedue suoi cugini. Altro importante bersaglio è stato il principe Walid bin Talal. E’ vero che in Arabia Saudita parlare di corruzione è relativo: non vi erano leggi per combatterla ed era una pratica a dir poco corrente.

Si è mormorato di maltrattamenti inflitti ad alcuni di questi personaggi, uno dei quali sarebbe morto per le conseguenze. Sul collo del cadavere alcuni testimoni hanno detto di aver visto segni di compressione.

Il tutto ovviamente viene negato. Si dice che a fornire i nomi delle persone di cui diffidare sia stato Jared Kushner, genero del presidente Trump e ottimo amico del giovane principe.

Questi comportamenti, oltre che destare perplessità, non sono esattamente legali e dovrebbero indurlo alla prudenza. Ad eventuali investitori stranieri, infatti, potrebbe sembrare che le regole sono dettate dai capricci di un principe: il settore privato non potrà svilupparsi in un clima di paura ed interventi arbitrari.

Ciò potrebbe creare anche difficoltà nella progettata vendita del 5% della compagnia petrolifera di Stato, Aramco. Una certa mancanza di trasparenza nella gestione stessa della società creerebbe anche problemi per una quotazione in borsa.

Dopo tanto zelo a combattere la corruzione, come giustificare poi l’acquisto di uno yacht da 500 milioni di dollari e di un castello in Francia? E che dire del Leonardo aggiudicato all’asta per oltre 400 milioni di dollari?

L’intento del giovane bin Salman dunque è quello di voler mettere tutti al lavoro e prepararsi per l’accesso al trono. In una monarchia che fino ad oggi è stata delle più conservatrici, si inizia finalmente a veder muoversi qualcosa.

Si stanno eliminando le regole del vecchio re Abdallah e con questa purga, mascherata da lotta contro la corruzione, il principe ereditario si sta offrendo un alone di popolarità: è indubbio infatti che il suo intento sia quello di darsi l’etichetta di futuro monarca illuminato. Il percorso resta tuttavia lungo e pieno di incognite.

Alcuni cenni sulla politica estera: Che egli sia sincero nei suoi propositi è fuori discussione. Mai come oggi infatti la monarchia saudita era stata contestata per le sue politiche arcaiche, se non addirittura contrarie alla Storia: per suo tramite il Regno dovrà d’ora in poi trasmettere immagine di attivismo e modernità.

A questa volontà di apertura interna corrisponde un indurimento in politica estera, campo nel quale il giovane principe difetta di esperienza: che abbia forse capito che talvolta per esistere si ha bisogno di un nemico?

Si tratta in questo caso dell’Iran sciita, del quale intravede ovunque trame ostili ed espansive volte a circondare il regno saudita. Non è certo un caso che le spese militari sono enormi e che l’Arabia Saudita è oggi il terzo paese al mondo per acquisto di armi.

Dietro a questa rivalità è forse possibile vedervi anche un disegno il cui scopo è quello di nascondere inefficienze e problemi interni al regno. Si tratta anche alimentare un sentimento di nazionalismo saudita da contrapporre al wahabismo e offrire come risposta al pericolo iraniano e sciita.

Per il giovane principe ereditario è in gioco una lotta per la conquista dell’anima dei popoli musulmani. La sua retorica anti-sciita serve a contrastare il richiamo degli iraniani al sentimento pan-islamico, anti imperialista ed ostile all’Occidente diffuso tra la massa dei credenti.

Cercare di contrastare ed umiliare l’Iran bloccandone l’influenza in Siria, Libano, Iraq, Yemen e Bahrain aiutano a silenziare il dissenso interno e fanno apparire il giovane principe come scudo a difesa dal nazionalismo persiano.

Inutile dire che sia i sauditi che i loro vicini del Golfo temono le risorse umane dell’Iran e il pericolo di vedere i loro mercati inondati da prodotti provenienti da quel paese. Sotto l’amministrazione Obama ogni riavvicinamento americano verso Tehran veniva visto dai sauditi come una minaccia per la loro posizione di principali alleati di Washington nella regione.

Questo spiega anche il sostegno tacito dato ad Israele nelle sue azioni militari in Siria a danno dell’Iran e, più in generale, riguardo la sua ostilità contro il regime di Tehran.

Le caratteristiche del principe

Credo sia possibile affermare che il Principe ereditario si stia muovendo nella direzione di rendere per la prima volta il suo Paese una potenza politica e militare. Il nuovo ruolo geopolitico potrebbe sottrarre al clero la sua influenza e rafforzare la Monarchia.

Paradossalmente l’Islam potrebbe uscirne rinforzato e dotato di una forma globale. In questo, a venirgli incontro, sono il declino dell’Egitto, i problemi tuttora irrisolti dell’Iraq e l’attuale catastrofe siriana.

Iran e Turchia resterebbero i suoi due soli rivali nella regione.

L’intervento nello Yemen: Irruento ed inesperto, Mohamed bin Salman si è infilato in un difficile conflitto nello Yemen dal quale avrà fatica a districarsi e che lo sta penalizzando notevolmente in fatto di immagine.

Questa campagna brutale e sanguinaria sta avendo conseguenze catastrofiche dal punto di vista umanitario, si riflette nei dibattiti del Senato americano e in più di un angolo già si parla di accuse di crimini di guerra. Inutile dire che questo conflitto sta costando miliardi di dollari alle casse dello Stato.

Ai suoi occhi questa campagna non è che una risposta in una lotta per la sopravvivenza dell’Arabia Saudita e l’egemonia delle nazioni arabe sulle manovre dello storico nemico persiano: essenziale per Riyadh contrastare quell’arco di influenza sciita che Tehran sembra voler costruire dal Caspio al Mediterraneo.

Il recente attacco aereo su di un mercato, che ha colpito anche un autobus uccidendo una quarantina di bambini e ferendo circa cinquanta persone, è stato un grave colpo all’immagine dell’Arabia Saudita e ha contribuito ad aprire gli occhi della comunità internazionale su questo conflitto dimenticato.

Un rapporto delle Nazioni Unite redatto dall’Agenzia Internazionale per i Diritti Umani è giunto a conclusioni a dir poco devastanti per l’Arabia Saudita. L’Onu solitamente non ha l’abitudine di criticare gli Stati membri e quando è avvenuto è sempre stata piuttosto timida nel farlo.

Quando le Nazioni Unite cominciano a lanciare accuse e riportare che la realtà è peggiore di come viene descritta, significa che qualcosa di veramente grave sta accadendo. In alcuni angoli già si parla di crimini di guerra e reati contro l’umanità.

Da parte del governo saudita e dei suoi alleati si cerca deliberatamente di coprire la verità, facendo il possibile per evitare che informazioni trapelino dallo Yemen. Non vi anche è nessun tentativo di voler cambiare le regole d’ingaggio.

La cosa sta creando problemi persino alla Casa Bianca, tanto che il generale Mattis, Segretario alla Difesa, ha dovuto dichiarare non senza imbarazzo che il sostegno degli Stati Uniti non può ritenersi incondizionato.

In tutto questo entra anche in gioco la cattiva coscienza dell’Occidente: esportando armi in grande quantità contribuisce ad alimentare e prolungare il conflitto. Per l’industria delle armi l’Arabia Saudita è un cliente importante tanto che criticarlo crea non poco imbarazzo.

Tra l’Arabia Saudita e lo Yemen i rapporti sono stati problematici sin dal passato. Negli anni ‘30 del secolo scorso questa si è annessa tre province del Nord e non è un caso che è proprio in quell’area dello Yemen siano sorti dei problemi. Più tardi, le divisioni nate dalla guerra fredda si sono riflesse sul conflitto tra la parte nord del Paese ed il suo meridione.

Il ruolo che gioca l’Iran in questo conflitto è meno importante di quel che sostiene l’Arabia Saudita. Additare Tehran come causa della ribellione è voler negare la realtà: i motivi sono tutti interni ed il ruolo degli iraniani è soprattutto offrire un sostegno politico all’azione degli Houthi.

Riguardo le forniture militari di Tehran, è bene notare sia in corso un blocco navale assicurato proprio dalla coalizione diretta dall’Arabia Saudita. Armi nel paese non ve ne possono entrare ed in nessun modo l’Iran è attivo nello Yemen come lo è invece in Siria. I missili utilizzati dagli Houthi provengono con tutta probabilità da scorte già esistenti.

Questa che viene descritta come la peggiore crisi umanitaria al mondo e i rapporti delle Ong stanno facendo sì che l’Arabia Saudita stia perdendo in immagine nei confronti dell’Iran. Le sue operazioni militari ed il modo di condurle hanno devastato quello che è il paese più povero del mondo arabo.

 

 

Considerazioni sulle sue azioni

Queste alcune cifre: su 29 milioni di abitanti, 22 necessitano di assistenza umanitaria.

Di questi, circa 9 milioni sono vicini alla fame e hanno urgente bisogno di aiuti alimentari. 2 milioni di bambini soffrono di malnutrizione e praticamente tutte le infrastrutture sono a pezzi.

La rete idrica è saltata e già si conta oltre un milione di casi di colera. Molti ospedali sono stati colpiti e le medicine sono quasi introvabili. Il tutto viene aggravato dal blocco, dato che il 90% del cibo necessario al Paese deve essere importato. In termine vite umane, tra la popolazione civile le perdite sarebbero oltre 10.000.

Come menzionato in precedenza, questa guerra che sembra non finire mai comincia a pesare sulle casse di Riyadh. Le spese ammonterebbero tra i tre e i cinque miliardi di dollari al mese e questi non sono certo i tempi migliori per permettersi un simile esborso.

Libano, Qatar, Siria e rapporti con Washington: Positivo non è stato neppure il tentativo di isolare il Qatar. La recente mossa di costringere il premier libanese Hariri alle dimissioni si è presto ritorta contro il Principe, creando ulteriori e non necessarie tensioni.

Malgrado tutti i suoi sforzi poi, in Siria Assad è ancora al potere e procede nella sua opera di riconquista mentre l’Iran continua ad avervi un’influenza determinante.

Nonostante le recenti ristrettezze, i sauditi hanno pagato alla Francia una fornitura di Rafale, come navi da guerra destinate all’Egitto. In precedenza avevano dato tre miliardi di dollari per potenziare le forze armate libanesi.

In una regione complicata e turbolenta qual è il Medio Oriente, aprire molti fronti tutti insieme presenta il rischio di moltiplicare i nemici sia in ambito religioso che all’interno della stessa famiglia reale, pericoli questi che inquieterebbero anche un monarca di ben maggiore esperienza. La prudenza detterebbe di stabilire delle priorità e non combattere contemporaneamente su molti fronti.

Al limite dello sbalorditivo è l’idea di separare il Qatar dalla Penisola Arabica scavando un canale lungo 60 km, profondo venti metri e largo 200. C’è da aggiungere che il Qatar è di grande importanza strategica per gli Stati Uniti.

Da tempo infatti vi hanno stabilito l’importante base aerea di Al Udeid. Vi si trovano stazionati circa 11.000 uomini e da questa decollano anche gli aerei destinati a missioni di guerra nella regione.

Mohammed bin Salman, soprattutto a seguito del suo recente viaggio negli Stati Uniti, ha trovato pieno appoggio da parte del presidente Trump che fa del tutto per distanziarsi dalla politica di Obama, concepita per creare un equilibrio nella regione.

L’ accordo sul nucleare che ne è seguito ha preoccupato non poco israeliani e sauditi. Grazie a questo consenso da parte della Casa Bianca, il giovane principe ha avuto la possibilità di condurre una politica estera aggressiva, distanziandosi da quella che era la tradizionale prudenza dei suoi predecessori.

Essi sapevano in quale polveriera poteva trasformarsi la regione. Cercavano perciò di muoversi con cautela evitando di sollevare ulteriori problemi. Il presidente Trump,

che ha di recente cacciato il suo Segretario di Stato e il generale McMaster, ha voluto dare carta bianca all’Arabia Saudita nella sua lotta contro l’Iran.

Con un contratto di 300 miliardi di dollari in forniture militari ed una sontuosa accoglienza in onore di Trump, il regno saudita ha lusingato il presidente americano, si è assicurato la protezione degli Stati Uniti e ha voluto mostrare di essere un fedele alleato. I sauditi hanno avuto l’abilità e la furbizia di capire che per entrare nelle grazie del presidente Trump era necessario fargli la corte e lodarlo.

che ha di recente cacciato il suo Segretario di Stato e il generale McMaster, ha voluto dare carta bianca all’Arabia Saudita nella sua lotta contro l’Iran.

Con un contratto di 300 miliardi di dollari in forniture militari ed una sontuosa accoglienza in onore di Trump, il regno saudita ha lusingato il presidente americano, si è assicurato la protezione degli Stati Uniti e ha voluto mostrare di essere un fedele alleato. I sauditi hanno avuto l’abilità e la furbizia di capire che per entrare nelle grazie del presidente Trump era necessario fargli la corte e lodarlo.