La posizione della Turchia nello scacchiere mediorientale
La Turchia
Per liberarvi, concluderò adesso parlandovi della Turchia e ricordando come per posizione geografica e per storia costituisca un ponte tra Oriente ed Occidente.
Si tratta di un paese importante, dal notevole passato.
La sua superficie è di 785.000 kmq, conta ottanta milioni di abitanti, il suo Pil corrisponde ad 863 miliardi di dollari e l’età media è di 31 anni.
Il tasso di alfabetizzazione degli adulti sfiora il 96% ed il 98% della popolazione è di religione islamica. L’Islam turco è di tradizione Sufi, in origine movimento filosofico e letterario che sottolinea la comunione personale con Dio.

E’, dunque, più ecumenico e non conosce l’intransigenza di quello salafita e wahabita. Questa fede e le tradizioni di un tempo si sono conservate soprattutto nella Turchia interna.
La popolazione è composta dal 20% di Curdi e per un altro 15% dagli Alevi, setta islamica di stampo sciita vista nel Paese come sorta di quinta colonna dell’Iran. Queste due comunità sono tuttora viste con ostilità e spesso perseguitate.
A seguito della caduta dell’Impero Ottomano, Mustafa Kemal, oggi noto come Ataturk, decise fosse impellente per la Turchia modernizzarsi e trasformarsi in nazione. Girate le spalle al passato imperiale, volse lo sguardo verso l’Europa e la sua civiltà. Al conte Sforza, che all’epoca si trovava a Istanbul, mandò a dire che non voleva più sentir parlare di Arabi e che la dominazione turca su di essi fu una delle cause della rovina dell’Impero.
Abolì il Califfato ed i Tribunali islamici e dichiarò la religione appartenere alla sfera personale e non a quella politica e giuridica. Scartò l’alfabeto arabo ed ordinò di abbandonare il modo tradizionale di vestirsi. Tutto questo riformare non andò giù ai credenti, che sentivano minacciata l’identità turca del paese, ne alterava la visione del futuro e faceva loro pensare di non essere quasi più a casa propria.
Questi cambiamenti imposti dall’alto non riuscirono a cancellare le radici islamiche del Paese e neppure il suo passato imperiale.
All’epoca della guerra fredda Ankara si era decisamente schierata con la Nato, alla quale forniva, dopo quella americana, la seconda forza militare oltre ad un certo numero di basi. Paese di frontiera, svolse un ruolo importante nella difesa della regione e dell’Occidente e contribuì in modo efficace a contenere l’Unione Sovietica.
Vorrei ricordare che in passato la Russia è stata il nemico storico dei turchi che minacciava sia ad oriente che nell’area del Mar Nero. Tra questi due paesi sono state combattute ben tredici guerre che alla fine sono risultate disastrose per l’Impero Ottomano.
I rapporti che i sovietici intrattenevano con i Curdi preoccupavano non poco Ankara. Ad allarmarla ulteriormente si aggiungeva l’amicizia di Mosca con i suoi vicini siriani ed iracheni: da qui, lo sviluppo di eccellenti rapporti con Israele.
A seguito della dissoluzione dell’impero sovietico, si ebbe un graduale sviluppo economico e sociale senza precedenti che rafforzò il desiderio di entrare a far parte dell’Unione Europea. Questi cambiamenti avrebbero aperto nel tempo un dibattito sulla direzione della politica estera.
Una storia gloriosa
Le riforme kemaliste erano state protette dalle forze armate che si consideravano custodi di quell’eredità ed erano perciò sempre pronte ad intervenire per difenderla.
Con l’avvento del partito AKP (Partito per la Giustizia e lo Sviluppo), nel quale era preponderante la componente islamica e conservatrice, e la successiva vittoria di Erdogan per tre mandati consecutivi dal 2003 al 2014 i militari persero il loro ruolo preponderante e furono costretti all’opposizione, cosa che gradualmente ne indebolì il potere sulla scena interna.
Di conseguenza, il paese iniziò a guardare con maggior interesse ai rapporti con il vicino mondo arabo e a volgere lo sguardo verso l’area balcanica e l’Asia centrale, zone che in passato facevano parte dell’Impero Ottomano.
I paesi vicini non accettarono di buon grado questo cambiamento del corso politico, non solo per via della differenza etnica tra arabi e turchi, ma anche per l’appoggio che questi ultimi offrivano ai Fratelli Musulmani.
Vi è da aggiungere che la Turchia non vedeva di buon occhio i gruppi salafiti e soprattutto quei wahabiti vicini alla monarchia saudita che ambiva alla leadership del mondo islamico, anche per via del suo ruolo di custode dei luoghi sacri. Ostile all’estendersi dell’influenza saudita nella regione, la Turchia ha offerto il suo appoggio al Qatar e vi mantiene un piccolo contingente militare. Ha inoltre rifiutato di partecipare al conflitto nello Yemen.
Questa contrapposizione ha avuto come effetto quello di indebolire il blocco sunnita in lotta contro gli sciiti dell’Iran.
Gli eventi che seguirono l’11 Settembre e le conseguenze della Primavera Araba presto sconvolsero questo progetto. Nel 2003 il presidente Bush ordinò l’invasione dell’Iraq, che portò alla cattura e successivamente alla condanna a morte di Saddam Hussein, grande avversario dell’Iran. A seguito poi della Primavera Araba del 2011, la Siria cadde preda di un feroce conflitto civile ed il presidente Assad fece ricorso all’aiuto della Repubblica Islamica.
Di conseguenza, la Siria e l’Iraq iniziarono a guardare più a Tehran che alla Turchia. Questo accese una competizione con l’Iran e contribuì ad avvicinare Ankara ad Israele e all’Arabia Saudita.
A seguito delle rivolte arabe, l’assenza dell’Europa e le incertezze di Washington incoraggiarono l’invio di contingenti russi in Siria e Mosca si trovò così anch’essa coinvolta in questa partita. Costretta a barcamenarsi tra un Iran alleato del regime di Assad ed una Turchia che gli era ostile, inaugurò quello che prese il nome di processo di Astana, nel quale si doveva discutere del futuro della Siria. Con questo riuscì a tenere a bada i due rivali.
Inutile dire che Putin iniziò a sfruttare questa situazione per affermare la sua presenza in Medio Oriente e mostrare al mondo che la Russia era ancora una grande potenza.
Ulteriore problema è quello dell’ostilità di Israele alla presenza iraniana in Siria. Per evitare complicazioni ed un eventuale scontro tra questi due paesi, Mosca si trovò a dover tener conto di quelli che sono gli interessi di Gerusalemme. Questo le rese più difficili i rapporti con Tehran, cosa che non dispiacque certo ad Ankara.
I suoi attuali rapporti con Israele, oggi meno buoni, sono dettati dal fatto che Erdogan cerca di spostare l’opinione pubblica araba a suo favore, minando l’influenza dell’Arabia Saudita. Quest’ultima, per timore dell’espansionismo di Tehran e per ostilità verso Hamas, costola locale della Fratellanza e sostenuta dall’Iran, si è da poco riavvicinata a Gerusalemme.
L’Iran in tutto questo non voleva perdere l’occasione di crearsi un ponte attraverso l’Iraq e la Siria che portasse via il Libano al Mediterraneo orientale. E’ anche bene ricordare che la Siria è stato il solo paese della regione a schierarsi con Tehran all’epoca del conflitto con l’Iraq. Questa alleanza è dunque un’alleanza organica.
Come già detto, oggi la vera contrapposizione è quella tra Iran e Arabia Saudita.
Anche se questi eventi, ai quali va ad aggiungersi il colpo di Stato nel Luglio del 2016 e le conseguenti critiche per violazione dei diritti umani, hanno allontanato la Turchia dall’Europa e dagli Stati Uniti, sia per motivi interni che di politica economica ad Ankara non conviene rompere con loro. I turchi, anche per via della questione dei migranti, restano un partner indispensabile per gli europei, cosa che dà loro anche una maggiore libertà di manovra con Mosca.
Così facendo, Erdogan evita allo stesso tempo una frattura tra il suo partito ed i kemalisti che dominano ad Istanbul e Smirne e che continuano a guardare all’Europa. Seguendo questa strada il Presidente eviterà una frattura interna tra europeisti ed islamisti.
Memore del trauma subito a seguito del trattato di Sèvres, che ha amputato l’Impero Ottomano di molti dei suoi territori, l’attuale preoccupazione di Ankara è quella del costituirsi di un’area autonoma curda alle frontiere meridionali.
In questo momento la Turchia sta vivendo un’epoca di risveglio dinamico ed è sempre più consapevole della propria identità e dei propri interessi. Anni di sviluppo economico hanno profondamente trasformato la sua società. Si è anche assistito ad un ridimensionamento del potere politico dei militari.
Il paese è in un periodo di transizione dagli sviluppi in gran parte imprevedibili. Cerca di affermare nella regione una sua sfera di influenza etnica, politica, religiosa e culturale ma manca purtroppo di sufficienti risorse economiche per sviluppare un progetto di questa portata. Pone perciò l’accento sul commercio ed i suoi legami culturali e religiosi.
La Turchia resterà un ponte tra Oriente ed Occidente e non romperà né con l’uno né con l’altro. Si dimostrerà però più indipendente dagli Stati Uniti e dall’Europa e cercherà di rafforzare i suoi legami con Russia e Cina.
I risultati delle recenti elezioni municipali, che hanno visto i grandi centri di Ankara, Istanbul, Smirne, Antalya e Adana sfuggire al controllo del partito di Erdogan, non sono che una tappa in questo lungo percorso di ridefinizione.
Spero con quest’ultima parte di essere riuscito a dare un’ulteriore prova della assoluta implausibilità dell’articolo apparso su Il Tempo dal quale siamo partiti. Si tratta con tutta evidenza di uno di quei molti tentativi di alterare la verità e condizionare le notizie così attualmente in voga, ma non perciò meno dannosi.
Dato che si è iniziato con l’Iran, offrirò in conclusione un paio di righe. Nel primo governo Rohani vi erano più ministri laureati in università americane di quel che ve ne fossero nell’amministrazione Obama. In quanto a quella generazione di religiosi che ha partecipato alla rivoluzione, una volta uscita di scena non vi saranno più i numeri per sostituirla. Il futuro di questo Paese resta incerto, ma indietro non tornerà più ed il nazionalismo vi è più forte della religione.