Considerazioni sulla nuova polita internazionale di Macron
Il viaggio di Netanyahu in Europa e l’incontro con il presidente Macron
Alcuni giorni fa il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha preso la decisione di fare un salto in Europa per convincere i principali leader a ritirarsi dall’accordo nucleare con l’Iran, paese che per lui è l’incarnazione del male. Insieme alla Corea del Nord è una minaccia per la pace nel mondo. Uno dei sui punti di forza è che interrompere il processo di arricchimento dell’uranio per un lasso di tempo di 10-15 anni non vuol dire rinunciarvi per sempre.
Con i soldi ottenuti a seguito dell’accordo così fortemente voluto dal Presidente Obama, l’Iran non ha certo distribuito benessere al suo popolo, ma si è mosso invece per creare un impero nella regione.

Secondo il premier israeliano, Tehran ha in mente adesso di trasferire ottantamila sciiti in armi reclutati in Iraq e Afghanistan col proposito di convertire la Siria. Gli europei dovrebbero preoccuparsi dato che la cosa porterebbe inevitabilmente ad ulteriori flussi di profughi nel continente.
Il suo pensiero è quello di difendere la sicurezza di Israele e di influenzare l’Europa a distanziarsi da Tehran, facendo capire che tra le carte a sua disposizione ha anche in mano quelle di un eventuale miglioramento dei rapporti con i palestinesi. Israele è determinato a mantenere il suo vantaggio nucleare nella regione.
La domanda da farsi adesso è se continuerà l’Europa a sostenere l’accordo dopo l’uscita decisa da Trump. Un’altra domanda potrebbe essere quella della possibilità di orientarsi verso un altro accordo che con tutta probabilità verrà comunque criticato.
Per Macron scopo dell’accordo era quello di tenere sotto controllo le attività nucleari dell’Iran. Anche lui sembra propendere che quest’ultimo oggi non sia più sufficiente dato l’evolversi della situazione in Medio Oriente: si tratta di una tappa che va completata al fine di poter affrontare con qualche probabilità di successo il problema siriano, quello della presenza e delle attività regionali dell’Iran oltre che a quello della sua politica di sviluppo missilistico. In termini più semplici, si tratterebbe di giungere ad un più ampio regolamento regionale per trovare una via di uscita ai problemi che affliggono la zona e poter finalmente giungere a qualche forma di stabilità.
La conferenza stampa che si è svolta a seguito dell’incontro tra i due uomini politici conferma questi loro punti di vista e le preoccupazioni di Israele che vede milizie sostenute dall’Iran su due delle sue frontiere, quella libanese e quella siriana.
In risposta a questi sviluppi, la Guida Suprema, Ayatollah Alì Khamenei, fa sapere che se l’accordo non verrà mantenuto, egli ordinerà all’Agenzia Nazionale per l’Energia Nucleare si sovrintendere all’attivazione di 190.000 centrifughe per arricchire l’uranio. Questo sta a significare che Tehran ha in mente un rilancio del processo di sviluppo nucleare al fine di far pressione sull’Europa perché si distanzi dalle decisioni di Washington e continui a sostenere l’accordo.
Per ogni parte in gioco questo conflitto, che non è privo di una certa dose di retorica, non è scevro di rischi vista anche la delicatezza della situazione iraniana che porterà inevitabilmente conseguenze sugli assetti interni del paese stesso: Rohani – ricordiamolo – è riuscito a vincere le elezioni facendo soprattutto leva sulle promesse di sviluppo economico e miglioramento del tenore di vita che sarebbero seguiti all’accordo con i 5+1. Oggi, con la decisione di Trump, queste promesse non potranno più essere mantenute ed è adesso Rohani stesso a trovarsi in difficoltà. L’unica sua giustificazione è quella di affermare che degli americani non ci si può fidare.
Malgrado le parole spese in sostegno dell’accordo, Francia, Germania ed Inghilterra, così come il resto dell’Europa, avranno difficoltà a convincere gli Stati Uniti a far marcia indietro sulle dichiarazioni della Casa Bianca che hanno portato al siluramento dell’accordo. Data la situazione interna di Trump ed il fatto che la denuncia dell’accordo faceva parte delle sue promesse elettorali, c’era da aspettarselo e adesso nessuna ditta europea avrà voglia di sfidare i propositi di Washington e vedersi chiuso l’accesso al mercato americano, ben più ricco e vasto di quello iraniano. Per non parlare poi anche della possibilità di effettuare transazioni in dollari.
La forza di dissuasione di queste minacce non manca di efficacia, dato che nessuna grande impresa vorrà mettersi in condizioni di correre i rischi di uno scontro con gli Stati Uniti: non a caso Total e PSA hanno deciso di rinunciare ai loro affari con l’Iran. Pressioni sono state anche esercitate sul governo italiano.
L’Europa dovrà trovare modo di rispondere a questa decisione di Trump e tutelarsi dalle sanzioni unilaterali americane. Il problema non è nuovo e già si era posto nel 1996 riguardo l’embargo sulla Libia e su Cuba. E’ dunque un problema che l’Unione si porta dietro e dovrà trovar modo di risolvere al fine di schermarsi: sarà necessario creare delle strutture disegnate appositamente che non dipendono dagli Stati Uniti e rendere possibile anche ai singoli paesi membri di potersi muovere. Perfezionare dunque il quadro giuridico e rendere operativi veicoli finanziari diversi, coinvolgendo se necessario anche le banche centrali nazionali.
La politica internazionale
Riguardo al presidente Rohani, penso gli sarà difficile abbandonare la politica missilistica portata avanti finora quando sa che il Paese non ha accesso al mercato internazionale delle armi. Non è pensabile che l’Iran possa rinunciare ad una sua difesa quando coloro che lo considerano una minaccia sono armati fino ai denti e possono acquistare senza problemi ogni tipo di sistema d’arma.
In Iran non sono pochi a domandarsi se sarà poi possibile fidarsi degli Stati Uniti nell’eventualità si volesse decidere di fare marcia indietro su tutto. Tehran si trova oggi in una posizione difficile e gli iraniani stanno vedendo svanire le loro speranze ed i loro risparmi. Le classi medie, vicine all’Occidente e pronte a guardare agli Stati Uniti, sono state pauperizzate da anni di sanzioni e di difficoltà. Il tasso di cambio è un perfetto indice della situazione interna del paese.
Per ora il governo di Tehran dà prova di moderazione richiamando le forze politiche all’unità e compiendo passi di velluto, dichiarando che avrebbe avvisato l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica dato che il passo che intende fare è del tutto legale.
Di fronte a questa situazione e alle pressioni dell’Iran per fargli difendere l’accordo, non credo che Macron possa avere vita facile: cercherà sicuramente sostegno sia a Mosca che a Pechino, ambedue sottoscrittori dell’accordo sul nucleare iraniano. Quello che purtroppo diviene ogni giorno più lampante è la debolezza e l’insignificanza dell’Europa.
Che questo sia vero è anche dimostrato dall’andamento del G7 svoltosi in Canada e chiusosi oggi. Il presidente Trump ha lasciato l’incontro prima della sua conclusione rifiutando di sottoscrivere il documento finale. E’ risultato chiaro che egli non aveva nessuna intenzione di discutere di queste cose con gli europei: il suo comportamento è stato tale da sottolineare quanto poco conti l’Europa e quanto sia oggi drammatica la situazione della sua unità.
Putin nel frattempo si è recato a Pechino per incontrarsi con il presidente cinese Xi Jinping. Così facendo ha mostrato di volere il riconoscimento di Trump e non del G7. Scopo dei due leader, oltre che creare un asse da opporsi ai poteri occidentali è quello di cercare di salvare l’accordo con l’Iran e trovare un’intesa sul da farsi con la Corea del Nord. Tutto ciò rende evidente chi è oggi a contare nel mondo.
Le conclusioni della vicenda
In un clima di disaccordo e di rissa commerciale, stiamo assistendo ad un’Europa che si disfa da sola. Se l’Unione non apre gli occhi e non si rende conto che deve farsi potenza, verrà sempre trattata in questo modo: di unità politica non si vede il segno ed il declassamento dei paesi europei appare sempre più preoccupante.
Per concludere dirò che l’Iran, malgrado le recenti proteste interne, è un paese stabile e sicuro, capace di tutelare l’incolumità dei suoi cittadini. Benché stia conoscendo adesso grandi difficoltà, si presenta con una fortissima identità nazionale che non è frutto di qualche ideologia, ma di un passato importante, di una storia e di una cultura millenarie. Per via di ciò, un suo ruolo nella regione è inevitabile ed è illusorio volerne rifiutare la presenza.
Se osserviamo la storia dell’Iran, vediamo che è un Paese non abituato a dichiarare guerre o lanciarsi all’attacco. E’ invece bravissimo nello sfruttare gli errori altrui ed è difficile pensare che Tehran non voglia conservare i vantaggi che ha saputo ottenere. Vorrei sottolineare che malgrado le parole di Netanyahu, gli iraniani non hanno la minima intenzione di attaccare Israele. Quello che per loro è purtroppo devastante è la retorica e la propaganda che utilizzano, cosa che non fa che creare danni al paese. Si direbbe quasi che a volerle abbandonare possa risultare in una perdita di autorità e di prestigio. Questo è un perfetto esempio di come spesso i danni si facciano più con le parole che con i fatti.
Con l’accordo sul nucleare si era potuto iniziare un dialogo sulla regione. Non è un caso che numerosi esperti israeliani fossero dell’opinione che era meglio avere quest’accordo piuttosto che il contrario.
Con quello che sta accadendo oggi diventerà per tutti più difficile tracciare una strategia per il futuro. Se il presidente Trump pensa di poter forzare un cambiamento di regime, temo si illuda: imposto dall’estero penso questo sia improponibile, anche perché non vi è un’opposizione autorevole e riconosciuta. Uscendo dal trattato non ha fatto che il gioco dei conservatori e danneggiare Rohani.