Il ritorno del vecchio leader
Tramonto di una monarchia e rientro di Khomeini
Il 16 Gennaio dell’anno successivo, perduto definitivamente il controllo delle piazze e delle istituzioni, Reza Pahlavi fu costretto a lasciare il Paese.
Due settimane dopo Khomeini fece il suo trionfale rientro dall’esilio: era diventato guida e bandiera della Rivoluzione.
L’esercito proclamò la propria neutralità e folle eccitate invasero caserme ed edifici governativi. Il Premier Bakhtiar, da poco in carica, scelse anche lui la via dell’esilio.

Il clero andava trionfando e le sue capacità di mobilitare le piazze si stavano rivelando ineguagliabili. Élite laiche, classi medie e forze di sinistra stavano perdendo terreno e capacità di richiamo, cosa che divenne ancora più ancora più evidente quando un Tribunale Rivoluzionario condannò alla pena capitale l’ottuagenario Generale Matbooie.
Egli aveva comandato nel 1935 la forza d’assalto contro la Moschea di Goharshad nella città Santa di Mashad, divenendo simbolo della repressione e della spietatezza dello regime. L’episodio ebbe origine nell’ordine dato alle donne di rinunciare allo ’hijab, parte integrante del programma di modernizzazione.
Di fronte all’ondata di fanatismo religioso, le altre forze si dissolsero. Il 4 Novembre 1979, a seguito della presa dell’ambasciata americana e dalla crisi degli ostaggi venne definitivamente a mancare l’influenza della classe media. L’episodio e la successiva guerra contro l’Iraq consentirono a Khomeini di eliminare le opposizioni, radicalizzare la società e indebolire le correnti islamiche moderate. Le fila del nuovo esercito iraniano verranno formate dai Guardiani della Rivoluzione.
Temendo il ripetersi dei fatti dell’epoca di Mossadegh e una reazione occidentale, seguirono scontri ancora più violenti e vere e proprie epurazioni. Da li a poco si sarebbe definitivamente affermato il potere di Khomeini e del clero Sciita. La Rivoluzione aveva assunto il manto religioso e quasi senza accorgersene l’Iran si stava trasformando in una Repubblica Islamica. Le sorti della Rivoluzione erano segnate: con la crisi degli ostaggi il nascente regime aveva contribuito a distogliere l’attenzione da quello che fu un vero e proprio colpo di stato fondamentalista.
Il leader
Nel suo esilio messicano di Cuernavaca, lo Shah stava nel frattempo morendo di cancro. Dopo la caduta del premier Bazargan, Khomeini ordinò l’attacco all’università di Tehran e l’inizio di una purga di professori democratici e di sinistra. I guerriglieri marxisti del MEK si scatenarono contro le forze religiose, iniziando una campagna di attentati ed assassinii che ebbe il suo culmine nella distruzione del quartier generale del Partito della Repubblica Islamica. Ne seguì un anno di durissimi combattimenti nei quali trovarono la morte decine di migliaia di sostenitori della sinistra. Altre migliaia furono arrestati, torturati e uccisi.
Il 20 Gennaio del 1981, giorno del rilascio degli ostaggi americani, quella che doveva essere una rivoluzione basata su concetti politici occidentali si era trasformata in una rivoluzione islamica. Nessuno avrebbe potuto prevedere un simile corso degli eventi. Tutto era iniziato non come uno scontro tra laicismo e religione, ma come sollevamento contro una dittatura. Questo aveva portato ad un’alleanza tra ceti benestanti, categorie produttive, piccola borghesia e classi povere urbane e rurali.
Senza l’opera iniziale dei ceti agiati e della borghesia laica, la rivoluzione non avrebbe potuto realizzarsi. Il piano era servirsi delle forze religiose per poi metterle da parte e consolidare il potere. Dopo la partenza dello Shah, le componenti sociali laiche e benestanti vennero travolte dalla marea crescente dei ceti poveri e meno privilegiati, tutti ferventi sostenitori del clero e dell’Ayatollah Khomeini.
Mossa da sentimenti anti-monarchici e di ostilità all’Occidente – Stati Uniti soprattutto – questa rivoluzione alla quale parteciparono tutte le forze politiche portò con sé anche rivendicazioni contro il tradizionalismo. Oggi si può dire che il paese aspiri ad un’evoluzione che conservi il meglio di ciò che è stato ottenuto rifuggendo però da violenze o spargimenti di sangue.